Odio restare umida. Subito dopo un rapporto sessuale ho la necessità di ripulirmi, asciugarmi, perché non ho voglia di sentire sulla pelle nulla di così appiccicaticcio. Così il mio partner dirige i suoi liquidi altrove. Il fatto che io non nutra una particolare passione per lo sperma ha offeso alcuni uomini con cui ho avuto storie in passato. Dicevano che era come se ne rifiutassi l’essenza. L’essenza di un uomo espressa con gli spermatozoi. Una visione ridotta di sé che meriterebbe una seria analisi sessuale e antropologica.
Lui no, non si sente offeso. Non sono la sua donna deposito. D’altronde mi capisce: dice che da ragazzino ha subito pesanti molestie da un tizio di famiglia. Non ne parla mai volentieri. È incerto. Mischia ricordi a successive interpretazioni che svelano mille contraddizioni. Non sa dirmi con esattezza. Forse gli serve ancora un lungo processo di elaborazione. La prima volta che mi accennò alla cosa ne fui travolta. Non riuscivo a pensare ad altro. Ero io ferita al posto suo.
Lui mi tranquillizzò dicendo che aveva superato tutto. Non era un dolore così grande e considerava il fatto che il grosso disagio gli veniva solo dalla confusione. Un po’ pensava fosse colpa sua e un altro po’ non capiva il perché delle sue erezioni con un tale che abusava di lui. Gli ho spiegato che ci sono erezioni involontarie e che quello è un muscolo che funziona proprio così se stimolato. Ma la sua confusione rimaneva tale e ho improvvisamente capito perché tanti pedofili pensano di aver corrisposto un desiderio consensuale.
Il senso di colpa più forte era legato al fatto che non capiva quale fosse la differenza tra dolore e piacere. Così travolto da una serie infinita di trasmissioni televisive. Film, ore e ore di law & order, in cui la separazione è netta. Dove non lasciano margini al dubbio e tutto sembra subito chiaro nella testa delle vittime. Nella realtà, secondo lui, non è così. Non si è ammalato, apparentemente la faccenda non ha nuociuto alla sua vita o alle sue relazioni successive. Quello che gli pesava di più era lo stigma, forte, da parte di chi parlava di quel genere di violenze come se la vittima dovesse distinguere perfettamente tutto quanto.
Non è così, mi dice sempre. Io non c’ho capito niente e solo da grande ho realizzato che odiavo non aver potuto scegliere, mi sentivo prevaricato perché non avevo la consapevolezza di esprimere rifiuto o consenso e quel che ho vissuto sembrava un’altra vita, un film a rallentatore, tutto rimosso e trattato con superficialità.
Quello che prova è rabbia, fondamentalmente, e questo lo aiuta a capire me quando gli dico che più o meno mi è accaduta la stessa cosa. Io ero più grande, una bella adolescente che piaceva a un cugino con il doppio dei miei anni. Non ricordo mi sia successo niente di spaventoso, per quanto io non voglia banalizzare nulla, ma lì per lì, mentre lui mi toccava e io ero indecisa perché il corpo diceva si e la mia testa diceva no, non ho capito nulla. Non ricordo neanche di essere venuta. Mi sono sentita soprattutto usata, anch’io prevaricata, perché avrei voluto scegliere per dirgli, eventualmente, cosa mi piaceva e cosa no.
Lui ora è sposato e ha dei figli. Me lo ritrovo a casa per pranzi e cene nei giorni di festa. Né io né lui abbiamo fatto mai più cenno alla cosa, e anch’io, come il mio attuale partner, sono stata combattuta prima di provare rabbia. Anche la vagina “si bagna”, perché anche lì c’è una dilatazione involontaria. È solo più facile nasconderla, al contrario di un’erezione e un orgasmo maschile, ma so che mi è successa la stessa cosa.
Ci ritroviamo oggi a fare un sesso che ci piace e abbiamo trovato la libertà di confidarci i nostri reciproci desideri fin dalla prima volta. Lui vuole essere punito, io ho il compito di punirlo. Lui vuole anche essere picchiato, perciò succede che il giorno dopo va in ufficio con un livido evidente e i suoi colleghi chiedono cosa gli sia successo. Dopo un paio d’anni in cui gli ha raccontato balle alla fine non ce l’ha fatta più.
A casa sono servo della mia compagna, amo farmi trattare male, voglio che lei mi picchi.
La considerazione successiva arrivò dai colleghi: il mio compagno collezionò due “ti comporti da finocchio”, un “forse dovreste andare da un buon terapeuta“, le colleghe facevano a gara per dirgli che loro non lo avrebbero mai trattato così e quando lui rispondeva dicendo che proprio per quello io non le avrebbe mai cagate si inferocivano. Un collega gli fece un lungo discorso sulla sessualità e descriveva sempre le stesse due o tre mosse.
Questo è quello che ha da dire il mio compagno in proposito. Per quel che mi riguarda, invece, io adoro picchiarlo, e non lo farei mai con tutti, in assoluto. Adoro fargli male. E non mi sento sbagliata per questo.
Ps: è una storia vera. Grazie a chi l’ha raccontata.
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la sessualità é complicità.. se fai una volta qualcosa che non piace, se sei intelligente, non lo fai più. ma se esiste una sfumatura che soddisfa entrambi, perchè privarsene anche se é bizzarra?
non é violenza se non scalfisce la psicologia.. é solo un gioco.
Avete trovato un buon equilibrio 🙂 è divertente che lui abbia detto la verità al lavoro. Deve essere stato liberatorio 🙂