Sono Monica, ho 42 anni e ho avuto un figlio all’età di 19 anni. Non ero pronta per lui e non ero pronta per niente. Sono rimasta ad allattarlo per qualche mese e poi l’ho lasciato a suo padre che ha promesso di prendersene cura. Lui poi si sposato, ha cresciuto il bambino e ha fatto altri due figli ed è felice così. Io sono semplicemente andata per la mia strada e non ho mai avuto ripensamenti.
In questi anni mi è capitato di incontrare persone che hanno cercato di farmi sentire in colpa, come il mio fosse stato un abbandono con gravi conseguenze. Non ce ne sono state. Il bambino, che ormai è grande, non ha subito traumi e suo padre gli ha semplicemente detto che io non mi sentivo adatta a fare la madre, cosa che poi è vera. Ha avuto ed ha dei genitori che si prendono cura di lui e casomai il problema lo hanno avuto i miei genitori che non hanno mai accettato la mia decisione, perché mollare il figlio a suo padre significava che anche loro, inevitabilmente, avrebbero dovuto allentare i rapporti fino a rendersi del tutto estranei a quella vita.
Mi hanno sempre detto che casomai avrei potuto lasciarlo a loro, così avrei potuto incontrarlo quando volevo perché prima o poi, di questo erano certi, mi sarei pentita della mia scelta. In realtà tentavano soltanto di tenere sotto controllo la vita di mio figlio e anche la mia, perché senza il bambino io sarei andata via, lontano, e loro mi avrebbero visto molto meno. Il mio atto di disobbedienza così grande presupponeva molte cose: non ero ricattabile, non dipendevo da nessuno, e dunque neppure dai miei genitori che mi avrebbero rinfacciato quel che avrebbero potuto fare per mio figlio. Avevo disertato un ruolo di cura e non sarei certo rimasta per stare accanto ai genitori dispiaciuti, invecchiati o malati.
Io pretendevo di riavere indietro la mia vita e mi sentivo a posto con me stessa. C’ho provato ma non ci sono riuscita e a mio avviso è tanto più onesto dichiarare i propri limiti o, anzi, la propria diversità, invece che trascinarsi esperienze che non si vogliono fare. So di essermi scontrata anche contro la cultura della vita, la tutela del bambino fin dal concepimento, quella massa di psicologi che negano autonomia alla madre e sanno solo elaborare teorie per farci sentire in colpa e tenerci legate al nostro ruolo di cura.
Neppure suo padre all’inizio capì molto ma apprezzò il fatto che lasciai quel bambino a lui, che ne è il padre, invece che ai miei genitori. Mi disse “vieni quando vuoi” ma io non volevo irrompere nella vita di mio figlio così, da un momento all’altro, rompendo i suoi equilibri per risolvere i miei sensi di colpa. Non avevo il diritto di entrare e uscire dalla sua esistenza per cercare un sollievo, un perdono, perché non c’era nulla per cui essere perdonata. Ogni tanto vedo quelle trasmissioni orrende in cui fanno incontrare persone che sono rimaste lontane per tanto tempo, e penso che è terribile che quella cultura nazional/popolare mi si attacchi sulla pelle. E’ gente di quel tipo che vuole che io mi senta in colpa e esige il lieto fine, un incontro dopo tanto tempo, per assistere a un reality, l’abbraccio di una madre con il figlio che la perdonerà.
Sono cazzate. Sono tutte cazzate. Io sono una persona responsabile e so cosa ho deciso e a chi mi sputerebbe in faccia perché ho scelto me stessa invece che mio figlio faccio presente che avrei potuto abortire e non l’ho fatto. Se avessi abortito mi avrebbero crocifissa per l’aborto. Visto che non ho abortito mi crocifiggono perché non ho voluto fargli da madre. E a proposito di madri c’è la mia che mi rompe le scatole continuamente. Ormai non le rispondo più al telefono. Vivo per conto mio, anzi convivo con un uomo che conosco da sei anni. Non faremo figli. Io non voglio figli. Lui neppure. Ho avuto tempo di studiare, lavorare, viaggiare, leggere tanti libri e mi sono concentrata su di me, per far crescere me stessa prima di chiunque altro, perché è questo che mi ha fatto stare bene. Fossi rimasta intrappolata in quella vita sarei stata proprio male.
Il mio compagno un po’ mi somiglia anche se intravedo in lui una vena di paternalismo. Non si impiccia dei cazzi miei e riusciamo a parlare di tutto serenamente ma la prima volta che raccontai di questo “dettaglio” che fa parte di me, una scelta della quale mi assumo completamente la responsabilità, mi ha chiesto se il bambino mi mancava e io mi sono guardata dentro e ho detto no. Non mi manca. Mi fa piacere che stia bene e che sia amato. Sono contenta di aver potuto avere spazio per me e che mi insultino o meno io sono soddisfatta così.
Infine il padre del bambino e io abbiamo concordato una strategia. Io ho rinunciato alla potestà genitoriale e il bambino è stato adottato dalla sua compagna. È figlio loro a tutti gli effetti, perché per sentirsi figli non serve il legame di sangue, roba arcaica trasmessa di memoria in memoria a partire da retaggi nobiliari che immaginavano di dover far discendere sangue blu da sangue blu. E’ un residuo della cultura patriarcale che immagina i figli come continuità di una stirpe che porta solo il cognome del padre, perché così il vecchio sopravvive al giovane e le generazioni si succedono senza lasciare morire la memoria, la storia della propria stirpe.
Ho fatto un figlio e l’ho lasciato a suo padre. Lui sta bene. Io sto bene. Nessuno si è fatto male e l’aria da tragedia che si vive attorno ad esperienze del genere è realmente fatta di colpevolizzazioni, demonizzazioni, perché se non compi il tuo dovere sei un mostro. Una strega. E strega sia. Così mi chiamo. Badate, però, che se tentate di bruciarmi siete voi che vi ustionerete.
Ps: è una storia vera. Grazie a chi me l’ha raccontata
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Credo che Monica abbia preso la decisione migliore, per sé e anche per il figlio (vi immaginate crescere accanto a qualcuno che vorrebbe essere ovunque tranne che con voi?).
Mi disturba un po’, però, l’accusa di “paternalismo” rivolta al nuovo compagno: in fin dei conti, la sua domanda era lecita, credo, e non penso volesse essere una subdola forma di opposizione all’autodeterminazione della compagna.
Ho fatto quasi la stessa scelta dell’autrice dell’articolo, e la posso capire pienamente. Essere madri non è automatico e ci sono donne che non sono portate alla maternità e dunque io porto pieno rispetto a chi fa questo tipo di scelta, è molto più onesto che fingere di essere una madre felice e poi cadere in depressione a vita o pensare al suicidio. Un figlio è “per sempre” e se una donna ritiene il figlio un peso a volte l’unica via d’uscita è quella del suicidio, che par sempre più “socialmente accettabile” che “abbandonare un figlio”.
e pensare che conosco donne disperate perchè non riescono ad avere figli…segnate per sempre 😦
vedo che c’è chi li abbandona, però non vuole essere insultata. A me sembra un comportamento
innaturale, e quel figlio ha sempre bisogno di una madre. si spera in una riconciliazione futura
tra i due, e soprattutto della madre con sè stessa.
Ma anche no. Lei ha scelto di lasciare il figlio al padre e sta bene cosí.
Veramente il figlio una madre ce l’ha, quella adottiva.
Concordo, sono dalla tua parte..ho fatto un figlio non perché lo volevo ma per soddisfare la voglia di paternità di mio marito…che purtroppo non si è dimostrato all’altezza del ruolo appioppandolo ai suoi genitori che l’hanno viziato a più non posso e ora che ha 7 anni tanto per dirle alcune quando mangia con i nonni viene imboccato, se ha voglia di fare i compiti li fa altrimenti no se provi a dagli qualche regola ti prende a calci e fa quello che vuole anche se lo punisci…è bravo solo se fa ciò che vuole..ed io sono stanca di tutto ciò..se continua così non so che potrebbe diventare io sto piangendo in cuor mio e non ho nessuna voce in capitolo alla fine sono tutti alla sua mercé. Gli hanno dato il biberon e tenuto il pannolino quando era a casa fino a 5 anni e per fortuna che ha fatto sia nido che asilo..sono disperata quando io lavoro e manco spesso da casa e anche mio marito torna tardi.. inoltre è un mammone di prima categoria e non sa fare niente in casa infatti è voluto andare ad abitare sopra i suoi genitori nonostante le mie opposizioni e questo è stato il mio più grosso errore ma è peggiorata la situazione dopo la nascita di nostro figlio in modo traumatico. Hai avuto molto coraggio a fare quello che hai fatto.