Comunicazione, La posta di Eretica, Violenza

#Firenze: assolto, ma per i media resto sempre un “capobranco”

Una lettera, un’altra, stavolta da parte di uno dei sei (sette) ragazzi assolti dall’accusa di stupro di gruppo nei confronti della “Ragazza della Fortezza“. Un paio di giorni fa ho pubblicato il testo integrale della sentenza di assoluzione pronunciata dalla Corte d’Appello e ormai definitiva per mancato ricorso in Cassazione. A pochi giorni dall’annunciata manifestazione fiorentina, contro “le motivazioni della sentenza”, Lorenzo Lepori scrive di quel che ha vissuto durante gli ultimi sette anni. Buona lettura!

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Salve,

sono Lorenzo Lepori. Chiunque digitando il mio nome su un qualunque motore di ricerca leggerà subito tutto quanto è necessario sapere su di me. Troverà le parole chiave Stupro, Capobranco, violenza di gruppo, processo, condanna. Se ancora si avrà voglia di sapere qualcosa di più su tale disgustoso individuo, si potrà faticosamente scoprire che è stato recentemente assolto da una gravissima accusa, una calunnia che per sette anni lo ha accompagnato come un’ombra fedele ovunque andasse, qualunque cosa facesse.

E’ questa, un’ombra incredibile. Assume le più svariate forme. Si trasforma spesso in sospetto. Si aguzza in odio. Colpisce piano e forte, poi ti abbraccia e ti spegne.

Allora resta la desolazione. Guardi la tua vita, le tue cose, le cose che ami, e ti fanno orrore, perché ti hanno marchiato, ti hanno reso credibile per il ruolo del mostro.

Sono state sbandierate, cambiate di senso. Sono state ridotte a immondizia.

Le cose che ho scritto, i film che ho girato. Avevano un senso e un nome, ma sono diventate un movente. Sono diventate il parto di una mente malata. Ancora oggi, quando scrivo, mi chiedo se il mio prossimo film potrà essere visto come qualcosa di diverso.

Anche queste parole che scrivo adesso. Come verranno usate? Per quale scopo? Da chi verranno strumentalizzate?

E allora desidero di nuovo restare in silenzio.

Duro, chiuso.

Ma, ancora una volta, sono condannato a ripercorrere quella strada fino a oggi.

Devo sentire di nuovo il brivido e il disgusto, e soprattutto la paura.

Devo rifugiarmi in piccoli gesti, piccoli momenti più assurdi che tragici. Devo sopravvivere.

Le tre e mezzo di notte. Persone, tante, che gridano fuori dalla mia finestra.

Sono poliziotti in borghese. Entrano in casa, cercano, mi fanno vestire. Non dicono ai miei genitori perché sono lì. Uno di loro prende un vecchio libretto che mia madre mi ha comprato al mercatino dell’usato, un romanzetto della serie “I romanzi di Dracula”.

Ha un titolo interessante: “L’orgia satanica”

L’agente fa al collega: “Guarda!”

Trovato. Dritti in questura. Lì gli altri ragazzi. Lo smistamento all’alba.

E’ tutto veloce e confuso, perché adesso arriva il carcere. Arrivo alla Dogaia.

Ci resterò cinquanta giorni, in una sezione speciale, protetta dagli altri bracci.

I colpevoli di reati sessuali sono odiati dagli altri detenuti, si sentono in diritto di fargli la festa.

Sono già fra i colpevoli, i dannati e i dimenticati. E’ questo l’inferno sulla terra?

L’uomo conosciuto come Il Mostro di Foligno mi porta da mangiare.

Stiamo in cella assieme a condannati per pedofilia, stupro, pornografia infantile, sfruttamento della prostituzione ma anche rapina a mano armata e omicidio plurimo. Ci spartiamo con loro sigarette, caffè, televisione, psicofarmaci e bagno.

Le lettere arrivano il giovedì, ma prima devono essere controllate.

Le foglie del mio albero preferito, colte da mio fratello di dieci anni e messe nella busta come regalo mi vengono requisite. Sospette.

Così alcuni libri portati dai miei genitori nei giorni di visita, tutti quelli su cui avevo fatto degli appunti. Probabili messaggi in codice.

Meglio correre nel recinto di cemento, meglio sfogare il dolore sotto il sole delle undici.

Nella saletta delle visite riusciamo tutti solo a piangere. Non riusciamo a dirci niente di quello che vorremmo davvero, le parole sono tutte sbagliate, la rabbia che deriva dall’ingiustizia ci soffoca.

Interrogatori, visite, psicologi, criminologi. Ci dicono che potremmo rimanere lì per dieci anni, chissà.

Il giorno prima del mio arrivo, alla cella accanto un uomo si è impiccato alla porta con un laccio. Io penso con trasporto ai rasoi per la barba, nel bagno, ma poi scopro che è usanza comune tagliarsi con quelle: lo fanno i giovanissimi marocchini per protesta, e quelli che si fingono pazzi, per farsi spostare alla clinica psichiatrica.

Improvvisamente finisce. Grandi abbracci, grandi pianti, quindi un altro mese di domiciliari.

I carabinieri passano alle ore più bizzarre. Finisco di montare il mio film, abbandonato dai miei collaboratori. In molti non si faranno più vedere.

Il processo.

Le menzogne, facendosi suono, esercitano una pressione irresistibile sul mio corpo e la mia mente. L’assurdo prende forma, mi schiaccia. A volte la verità sembra chiara, dovrebbe esserla anche a un bambino, penso io. Ma ecco che veniamo condannati.

Adesso possono dirmelo tranquillamente in faccia, che gli faccio schifo.

Viene abbandonato qualunque ritegno. Da allora l’ombra si è fatta più forte.

Un giorno veniamo assolti.

Nessuno fa ricorso in cassazione.

Ma c’è sempre la stessa ombra. Quindi è bene stringare.

Sono rimasto, per il pubblico, il Capobranco. O “Il capetto”, se volete.

Potrei farvi un’accurata lista di tutte le occasioni in cui sono stato umiliato, estromesso, ostracizzato, mortificato, minacciato e insultato. Oppure una lista di malattie e patologie che hanno vessato me e miei cari. Le difficoltà economiche? Non credo vi interessi davvero.

Io devo essere il mostro. Se c’è stata una vittima, quella non potrò mai essere io.

Non è bastato il processo. I referti. Le testimonianze.

Non sono bastate le prove. Il processo mediatico deve andare avanti, ancora.

La calunnia è ancora qui. Oggi più che mai strumentalizzata.

La mia calunnia e la mia calunniatrice si sono adesso innalzate a simbolo.

Tutto sembra così perfetto e facile. Dopotutto tramite questa calunnia potranno essere veicolati degli importanti messaggi sociali. Dal male può sempre nascere il bene.

La verità non può rompere questa armonia. Forse non deve.

Questa scomoda, antipatica verità che può essere raggiunta, conosciuta e capita solo abbandonando superficialità, moralismo, fanatismo e dogmatismo, che richiede riflessione e impegno…

Ma qui, adesso, la dico un’ultima volta, brevemente:

Io, Lorenzo Lepori, sono stato falsamente accusato, assieme ad altre sei persone, di un orrendo crimine che non abbiamo commesso. Di questa verità è stata data prova e testimonianza. Da tutte le accuse, siamo stati assolti dalla giustizia.

Concludo: questa calunnia ha spezzato i nostri cuori, ma non le nostre schiene.

Se a qualcuno la nostra vita sembra “vincente”, è perché nonostante tutto e tutti, abbiamo questa verità che ci guida, che ci dà speranza, che ci brucia dentro e scaccia le ombre.

Abbiamo l’amore di chi ci conosce davvero. Ed è tutto quello che serve per sopravvivere.

Lorenzo Lepori, sabato 25 Luglio 2015

 

Ps: per fruire del diritto di replica scrivete a abbattoimuri@grrlz.net

14 pensieri su “#Firenze: assolto, ma per i media resto sempre un “capobranco””

  1. Non entro nel merito di questa lettera (così come non l’ho fatto nei riguardi della lettera della ragazza) perché, come penso di aver dimostrato, ho sempre cercato di discutere in relazione a questa vicenda basandomi solo sui fatti oggettivi riportati nella sentenza, ma devo fare i miei complimenti più sinceri a te, Eretica, per la completezza d’informazione veramente rara e ammirevole su quanto successo
    Pubblicare la sentenza integrale e le lettere con le due versioni “emotive” di entrambe le parti interessate è una vera prova di onestà non solo verso te stessa, ma anche verso tutte le persone che amano e sono motivate dal desidero di comprensione reale degli eventi
    Ripetendomi devo dire che ci sono momenti in cui ci vuole il coraggio di guardare in faccia la realtà anche quando questa dovesse comportare qualche modifica nelle prospettive iniziali, qualunque esse siano
    Il vero coraggio comincia proprio dalle forza di fornire informazioni complete e “rotonde” ad angolo giro … e questo coraggio ti fa onore
    con stima
    L.

  2. Se quest’uomo, al pari degli altri, avesse letto “Questa Metà della Terra” ed avesse creduto alle amare, sconcertanti e persino tragiche verità ivi contenute, avrebbe evitato questa amarissima esperienza che solo per caso non è finita peggio.
    Chiedo scusa per la non voluta ma inevitabile pubblicità al mio saggio (la cui eventuale lettura non mi arricchirà in quanto lo si può scaricare gratis dal web).
    Rino DV

  3. Non si tratta di essere pro o contro qualcuno; né a me, né a voi che leggete, spetta di fare processi. Non possiamo farli perché non ne abbiamo gli elementi né le competenze. Ciò che spetta ai cittadini è pretendere che la giustizia funzioni secondo i principi che le sono propri. Ho orrore dei processi del popolo: il popolo segue le emozioni, non la giustizia. Non c’è nessuno più popolare di un dittatore. I media, come tutto il resto, seguono il principio del massimo profitto e, per vendere, parlano alla pancia del popolo, dicono ciò che il popolo vuol sentirsi dire. Esprimere concetti diversi dal pensiero popolare, significa vendere meno informazione, meno pubblicità. Per questo, da molti anni non ho TV in casa e non acquisto quotidiani.
    Ho conosciuto di persona Enzo Tortora ai congressi radicali, prima che la sua terribile vicenda lo uccidesse di cancro. Anche lui era considerato “il Mostro” da media e opinione pubblica. Il Partito Radicale, vale a dire noi iscritti, che discutevamo e votavamo, decidemmo d’intraprendere le nostre lotte per una “Giustizia Giusta”, vale a dire quella che si rifà a dei principi giuridici fondamentali, come, per esempio, il fatto che una persona si deve ritenere innocente finché non ne sia provata la colpevolezza tramite prove sufficientemente certe. Spetta a chi accusa portare le prove della sua colpevolezza, non all’accusato di provare la sua innocenza.
    C’è chi chiama questo “Garantismo”, ma senza garanzie, chiunque potrebbe essere avere la propria vita distrutta, semplicemente sulla base della parola di chiunque altro, come avvenne per Enzo Tortora, che ne morì.

  4. Sono contenta che anche l’altra parte protagonista si sia fatta sentire. 81 sono stati i commenti al post in cui si pubblicava la lettera della ragazza, cori di solidarietà e sostegno e indignazione contro presunti preconcetti e moralismi. Poi la sentenza, e chiunque l’abbia letta con distacco -senza preconcetti appunto- non può non essersi reso conto delle solide e concrete motivazioni della stessa.
    Mi auguro che tanti di quelli che hanno gridato al mostro ora chiedano scusa a questo ragazzo e che dimostrino a lui il medesimo sostegno: la sua vita e quella degli altri 5 è stata messa a dura prova. Hanno vissuto un incubo da innocenti, e nonostante questo, nonostante l’assoluzione perché il fatto non sussiste, devono assistere a manifestazioni in cui sono dipinti come dei mostri e subire l’ostracismo non meritato di persone che, loro sì, sono vittime dei loro stessi preconcetti.
    Mi auguro che riescano a scrollarsi tutto di dosso, che non restino attaccate immeritate etichette (come quel capetto), che non servano anni per eliminare gli strascichi emotivi e psicologici di tutto questo. Un abbraccio a loro.

  5. Conosco bene Lorenzo Lepori, ho avuto il piacere e l’onore di poter lavorare con lui in alcuni suoi film e l’atmosfera sui suoi set è sempre distesa e c’è sempre allegria.
    Conoscendo bene Lorenzo si apprezza il suo coraggio e la sua pazienza infinita nell’incassare commenti sprezzanti, accuse d’essere un “mostro” e quant’altro gli sia stato ingiustamente detto in questi ultimi tempi da questo processo popolare a cui deve sottostare.
    Conoscendolo si può notare che una persona del genere non può assolutamente aver commesso tale reato.
    Mi sembra anche inutile continuare a processarlo in base al genere di film che lui è solito affrontare, lo splatter: questa è arte, non perversione, è cinema, è finzione, non è deplorevole fare arte.
    I tribunali popolari sono pericolosi, prima di prender posizioni nette bisogna ben informarsi sullo stato dei fatti.

  6. Come sempre, mi inchino di fronte a Eretica, che mostra a chiunque come si può avere delle idee, difenderle, e nello stesso momento lasciare spazio anche a chi porta versioni diverse dalla sua.

    Chapeau.

  7. Pingback: Elena

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