Questa non è una storia, ma solo una mia opinione sulla tipologia di commenti che arrivano ogni volta che pubblico una storia che racconta i disagi di una madre che non voleva essere tale, o che non riconosce il proprio figlio in senso pieno, o che non ha voglia di crescerlo perché vive moltissimo problemi. Quando la prima storia è arrivata capii subito che l’impatto sarebbe stato fortissimo. Lo so perché anch’io ho vissuto, sulla mia pelle, una serie di pregiudizi e di censure circa il malessere provato in conseguenza all’essere madre. So, in parte, come ci si sente, quanta solitudine si può provare, in special modo se non hai un grande supporto da parte di nessuno o se sei costretta a interpretare in ruolo che ti obbliga ad essere madre nell’unico modo possibile in cui la società ti riconosce in quanto tale.
Non ho vissuto esattamente quello che leggo in altre ma capisco perfettamente quanto sia forte il disagio se quel che devono fare è interpretare il ruolo della beddamatresantissima a tutti i costi. Parlo della madre che piace all’italietta nazional/popolare, quella che va in onda nei programmi trash della tv in cui sarebbe impossibile raccontare un altro modo di essere madre o il rifiuto a esserlo, giacché noi non siamo, e questo deve essere accettato, quel che ci viene assegnato di fare secondo la nostra caratteristica biologica. Provate a immaginare cosa accadrebbe se una donna provasse a dire in tv che non vuole fare la madre e vuole lasciare il proprio figlio perché non ce la fa più e vuole fare altro. Ecco, quel che avverrebbe in alcune trasmissioni è esattamente quello che avviene sui social a meno che alcune storie non siano raccontate in uno spazio come Abbatto i Muri in cui queste donne sono libere di esprimersi senza che nessun@ (o quasi) le giudichi con cattiveria.
La pagina è ormai un posto che vive delle regole date, per cui chi arriva già sa, voglio sperare, che bisogna avere rispetto della vita di ciascuna, a prescindere dal fatto che tu sia d’accordo o meno. Su questo blog a volte arrivano commenti veramente orribili. I più atroci non li pubblico, perché non permetto a nessuno di ferire chi si confida e condivide il proprio dolore sul mio blog, ma questo non mi impedisce di analizzarli, ora, qui, assieme a voi, per raccontarvi quante e quali reazioni ho visto e ricevuto in questi mesi.
Le più accanite sono le donne, non si capisce perché, e parlo di una categoria di donna che ama primeggiare dimostrando di essere superiore alla esperienza altrui. Perfide, incattivite, tirano fuori il peggio di sé definendo le madri che si raccontano sulle pagine del blog come malate, pazze, prive di empatia, di capacità d’amare e di comprensione. Le parole usate, ovviamente, sono anche peggio di così. E io mi chiedo di quale empatia vanno parlando costoro se in effetti quel che loro scrivono fa intendere che il loro grado di empatia è pari a zero. Ci sono quelle che giustamente rivendicano il diritto a raccontare un altro punto di vista, ovvero dicono di avere figli, di averli cresciuti volentieri ma mai hanno scritto di sentirsi perciò superiori alle altre che hanno vissute esperienze diverse.
Poi ci sono invece queste donne che non capisco dove custodiscano tanta cattiveria. Probabilmente fanno parte dell’esercito di persone che sui social cerca di individuare un capro espiatorio per sfogare i due minuti d’odio, ma io mi chiedo, comunque, come si possa lanciare un sasso così appuntito su una persona che ti sta dicendo che a momenti finirà con l’annegare. Piuttosto sarebbe utile offrire un’ancora di salvezza. Un punto di riferimento, qualunque cosa possa farla sentire compresa, amata, mai giudicata. A cosa serve se tu, donna qualunque, in primo luogo se non hai dei figli, vai cianciando, immedesimandoti in ruoli da bulla adolescente, di traumi infiniti che la madre causerebbe al figlio? Perché mai in questa società, a partire da quando l’embrione viene concepito, non si pensa mai alla madre? Chissenefrega se lei un bel giorno piglia e si suicida o se in ogni caso si deprime, perde la speranza, il senso di una prospettiva. Perché lei è una persona, un essere umano, lo capite? E invece qui pare che lei non sia altro che un’interprete del volere di chi l’ha abilitata a fare la madre per conto di Dio/Stato/Famiglia.
Poi ci sono alcuni uomini particolarmente perfidi: quelli che non riescono a evitare di vittimizzare se stessi per ogni storia che si racconta, perciò se raccontiamo di una mamma con problemi spunta fuori che lui dirà che è per via di donne come quelle che la sua vita è andata distrutta. Poi ci sono quelli che da un lato rivendicano la paternità dei propri figli e dall’altro però vorrebbero che la madre si comportasse ancora come la chioccia d’un tempo. Delle due l’una: o chiedi che i tuoi figli, in special modo se sei separato, stiano un po’ di più con te oppure non ti lamentare poi se la cultura dominante dice che i figli devono stare per forza con le madri. Poi ci sono quelli che di bambini neanche l’ombra, eppure si identificano nelle eventuali sofferenze dei figli altrui e immaginando di essere dalla parte delle vittime, come succede sempre, partono in squadre, come una delle tante armate del bene, per ricordare a me, a voi, al mondo, che ci sono donne molto cattive che fanno tanto male ai figli.
So che è così. Non serve dirlo, ma quello di cui stiamo parlando ora è assolutamente altro. Concentratevi un pochino e forse riuscirete a capire che in una società dove una donna è accettata, in uno dei ruoli più convenzionali esistenti, quasi sempre e solo in quanto madre, quel che ne viene fuori non è una cosa buona. Parlare di maternità responsabile è un dato preciso. Parlare di figli solo quando li vuoi e non perché subisci una pressione psicologica o perché, se li hai fatti e ti sei pentita, il mondo si scaglierà contro di te se non li vuoi crescere. C’è uno stigma feroce contro le madri che non vivono la maternità secondo un ruolo imposto, e dire che, invece, di madri piene di problemi ce ne sono tantissime. Allora, se i commenti di cui parlo sono lo specchio, piccolo, di quel che pensa la gente sorda e cieca, penso che ci sia tanto da fare e che serve parlarne, ancora, perché ciascuna libera l’altra e così via, come se foste legate da una catena con un grande lucchetto del quale ciascuna di voi conosce solo una cifra per sciogliere la combinazione. Ecco tutto. Spero che altre persone vorranno contribuire a questa riflessione perché credo che ce ne sia bisogno. In ogni caso scrivete, per raccontare anonimamente la vostra storia: abbattoimuri@grrlz.net
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Abbatto I Muri vive di lavoro volontario e tutto quello che vedete qui è gratis. Aggiornare e gestire questo spazio è un lavoro che costa tempo e fatica. Se mai vi passasse per la mente di esprimere la vostra gratitudine basta un obolo per un caffè (alla nocciola). :*
Grazie davvero a chi vorrà contribuire alla causa!
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A 19 anni non volevo figli, quando ho avuto la mia sono stata felice. Vivo questa contraddizione, amo essere madre ma odio il ruolo materno imposto dalla società… Non mi permetterei mai di giudicare male una mamma in difficoltà paragonandola alla mia esperienza. Diverse persone, diversi contesti, diverse esperienze. A me hanno aiutato la testardaggine, la forza d’animo e la fortuna…
Vorrei pensare che sia solo la frustrazione a parlare: di donne che non hanno potuto avere figli, che non hanno il coraggio di ammettere di non amarli (o non amarli abbastanza), di uomini costretti a fare i padri o costretti a non esserlo; vorrei che fosse così perché allora vedrei una soluzione, lenta, lunga, ma in lontananza la vedrei. E invece tocca ammettere la cattiveria, che chissà se riusciremo mai a estirpare.
bellissima riflessione, condivido ogni parola.
Mi chiedo una cosa, e non è una domanda retorica né accusatoria. Non è nemmeno un discorso rivolto unicamente alle donne, perché di uomini che hanno messo al mondo dei bambini e poi si sono pentiti della loro scelta ce ne sono sempre stati, e per come la vedo io non sono sotto nessun aspetto diversi dalla controparte femminile: per quel che riguarda questo argomento, per me si parla di persone e basta, senza guardare se sono maschi o femmine.
La domanda è: hai procreato e sei pentit*, e lo posso benissimo capire (a 35 anni, con un matrimonio alle spalle, non ho figli e non è un caso: mi angosciano le responsabilità e le diminuite libertà legate al doversi occupare di un infante), oppure sei stat* costrett* a farlo che è pure peggio, ma ora al mondo c’è una persona in più, che ha per parecchi anni bisogno, per sopravvivere, dell’aiuto, delle attenzioni di persone adulte. Chi se ne deve occupare?
Ripeto, non è una domanda retorica né accusatoria. Ma se si dice: la regola sociale per cui dei figli si occupano i genitori non vale più per quel genitore – o entrambi – che non voglia (per motivi che non contesto) fare il genitore, allora bisogna trovare una soluzione alternativa al lasciare allo sbando queste altre persone – i figli, che non valgono nè più nè meno della madre o del padre. E anche l’altr* genitore, che si trova improvvisamente da sol* con doppie responsabilità. (e ribadisco che parlo di uomini e donne, non assegno affatto alla madre un ruolo obbligatoriamente predominante nella cura ed educazione della prole).
Finora se era il padre a volersi sottrarre alle responsabilità che la nostra società associa alla genitorialità, erano semplicemente cazzi della madre e per molti è solo il viceversa ad essere un problema e le donne che mal si ritrovano nel ruolo di madri ad essere delle stronze snaturate. Per me il problema si pone in entrambi i casi, non in termini di accusa nei confronti del genitore in questione, ma in termini di: va bene, ma che si fa?
Non sono certa di essermi spiegata, è un argomento spinoso e complicato…
D’accordissimo con Elena. Non ho idea di come funzioni, comunque. Immagino si possa fare. In famiglia, della serie affidando il bimbo a qualcuno che manifesti la volonta’ di occuparsene. O fuori. Chiedendo aiuto ai servizi sociali. Immagino sia un po’ uno schifo. Nel senso che sicuramente per questioni burocratiche il bimbo se la passerebbe male. Prima di poter essere adottato. Semmai potra’ venire adottato. Penso che alla fine, in questo blog, la questione chiave di tutte le questioni sia: impariamo ad aiutarci. Come dice Elena: va bene, ma che si fa? Su questo dovremmo lavorare per creare una societa’ tollerante, libera, vera, felice.