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Da bambina volevo essere libera di decidere chi diventare e menomale che c’era il gender

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Questo articolo veniva pubblicato ieri su La27ora. Lei dice di ispirarsi al femminismo della differenza e sottolinea come uomini e donne siano diversi per modo di sentire e di essere. Dopodiché ci ripropone un impasto di pensiero simil cardinali o omofobi in cui spiega come lei, da bambina, voleva essere un maschio, e che per fortuna non c’era il “gender”, perché altrimenti le avrebbero fatto una bella cura ormonale e oggi, invece che essere felicemente femmina/mamma, come lei stessa si definisce, potrebbe essere un tizio con la barba e i peli sul petto.

A nulla vale dire che la storia delle terapie ormonali ad intervento di supporto per la disforia di genere non è così come la racconta lei o chiunque altro ami immaginare che il mondo sia sorretto da una dittatura gay che vuole imporre agli esseri umani la totale omologazione. Più generi, invece che solo due generi, per lei non funziona, o almeno così mi pare di capire. Mi corregga pure se sbaglio. In ogni caso dato che la propria esperienza diventa l’ombelico dal quale partire per poi sfoderare assiomi e archetipi d’ogni tipo spero vi faccia piacere poter leggere la mia modesta e umile testimonianza.

Si intitola: Da bambina volevo essere libera di decidere chi diventare e menomale che c’era il gender.

Siciliana. Nata e cresciuta in Sicilia, in una famiglia siciliana e in un contesto con una mentalità un cicinino sessista. Avviata ai servizi di casa fin da piccola, in quanto femmina. Passavo la cera sui pavimenti in terza elementare e lavavo le stoviglie in quello stesso periodo. Ricordo che mi piaceva particolarmente lavare le scale perché facevano una bella eco e quindi quando cantavo la voce si estendeva un po’ ovunque. Rimettevo in ordine la mia stanza, imparavo a cucire a maglia e all’uncinetto. Ho imparato anche a tagliare e cucire qualcosa, non troppissimo ma quel che mi serviva. Cucivo qualche vestito, semplice, aggiustavo l’orlo dei pantaloni e per inciso io amavo indossare i jeans, le camicie larghe di mio padre e il giubbotto di mio fratello.

Per il corredo si iniziò a pensarci che io avevo circa cinque anni. Se fossi stata in un altro paese probabilmente mi avrebbero promessa in sposa a mia insaputa. Sulla mia testa pendeva quella spada e mi sembrava che tutto quanto mi indicasse un destino che giammai avrebbe potuto essere frutto di scelte autodeterminate.

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Poi c’era la mentalità del luogo. Troppo parlare con i maschi significava essere puttana. I bambini correvano e facevano a gara a toccarti il culo e non potete capire la vergogna quando spuntarono le tette. Ero diventata “signorina” e in famiglia si narrava di donne che avevano figliato a 14/16 anni. Terrore allo stato puro. Fortuna che poi la famiglia, come tutte le famiglie di questo mondo, era piena di contraddizioni. Volevano che studiassi, che fossi almeno autonoma nella professione. Non erano così frettolosi nell’impormi un matrimonio e invece che trucchi e abiti mio padre riempiva lo spazio vicino al mio letto di libri presi in saldo che io leggevo in brevissimo tempo.

Iniziai a scrivere storie che avevo sette anni. Mi piaceva inventare e immaginavo donne che più o meno erano temerarie. Eva Kant fu un mio mito. Innamorata del suo partner ma capace di fare mille altre cose. Perciò immaginavo, invece che una principessa, una acrobata, una avventuriera, sognavo che a scoprire il centro della terra fosse una donna, ero io che immaginavo di poter fare tutte quelle cose. La mia fortuna fu avere donne di riferimento un po’ più grandi di me che un pizzico di ’68 lo avevano digerito. La mia famiglia non disse più nulla a proposito dei miei gusti in fatto di abbigliamento. Mio padre si rassegnò a non trovare le sue camicie che io amavo indossare e mio fratello mi regalo quel giubbotto di jeans che avrei indossato per tutto il periodo della scuola media.

Nel frattempo c’erano le prime cotte, i ragazzini cominciavano a notarmi ma il mio mondo era decisamente altrove. Aiutavo mamma con le fatiche casalinghe, perché ne aveva bisogno e non perché dovessi farlo. Facevo i compiti. Ascoltavo mio padre che mi raccontava delle sue idee politiche e delle lotte partigiane dei miei nonni. Mia madre era più una cantastorie e tramandava la memoria famigliare che io ascoltavo con grandissimo interesse. Una delle mie nonne continuava a insegnarmi a cucire a maglia e all’uncinetto e infine mi piaceva farlo perché era un modo per stare con lei. La mia nonna che veniva dall’america ed era sopravvissuta ad una traversata infinita per ben due volte, perciò ne aveva di cose da raccontare.

Il mio contesto era comunque orientato a separare i ruoli a seconda del genere. Le femmine a fare cose da femmine e i maschi a fare cose da maschi. Riuscire a imporre un’altra maniera di fare le cose non è stato semplice, e accadde in famiglia e soprattutto fuori. Ma, per l’appunto, per fortuna che c’era il gender e per fortuna che dopo aver letto tomi che parlavano di femminismo della differenza feci una pernacchia e dichiarai apertamente che io ero e sono queer. Non mi interessa classificare il mio genere. Non me ne frega nulla di essere definita felicemente femmina e mamma, e ho partorito, perché anche le persone queer partoriscono, a volte. Non me ne frega nulla neppure di essere denominata “donna” perché non capisco cosa diamine voglia dire. Donna si diventa ma dovremmo essere un po’ oltre. Io dico che persona si diventa.

Tutta la serie infinita di norme che chi combatteva il “gender” mi imponeva, dalla chiesa, alla società, alla scuola, per me erano violenza allo stato puro. Se non ci fossero stati i racconti di chi mi faceva vedere che non era doveroso restare incastrata in quei ruoli io temo che oggi sarei una persona molto infelice e piuttosto incazzata con tutto il mondo. Perciò ecco, basandomi su questa esperienza ora dovrei dire che tutte devono fare le mie scelte? Assolutamente no. Ma bada bene, cara Monica, che ci sono anch’io e tante come me e a noi, a differenza che a te, quello che tu chiami il “gender” ha fatto tanto bene.

Parlare di non imposizione di ruoli e di educazione da un punto di vista di genere per raggiungere uguaglianza è fondamentale per non creare zone di discriminazione e divisione binaria di ruoli in base al sesso. Spero che possa interessare il mio racconto e se invece no, va bene uguale. Buona serata tutt*.

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3 pensieri su “Da bambina volevo essere libera di decidere chi diventare e menomale che c’era il gender”

  1. Chissà come mai Monica Ricci Sargentini ancora non scrive per La Croce… Usa più o meno le stesse argomentazioni, anche se in maniera un pochino più edulcorata. Ennesima prova che ci troviamo sempre nel tardo Medioevo in Italia. Voglio dire, in Australia c’è una persona (Norrie mAy Welby) che è riuscita a farsi legalmente riconoscere come “né maschio né femmina”. In Gran Bretagna il prefisso Mx (per chi non si sente Mr, Miss,Mrs o Ms) viene ormai incluso tra le opzioni dei documenti ufficiali ed è anche entrato a far parte dell’Oxford English Dictionary (www.dazeddigital.com/artsandculture/article/24644/1/mx-is-the-new-mr-or-ms-for-gender-fluid-people) . E noi qui in Italia stiamo ancora a parlare di differenze “naturali” tra maschi e femmine…

    1. concordo, dovrebbe scrivere per La croce
      …”non ce bisogno di educazione contro l’omofobia”..tra le righe dice che gli omosessuali vanno “aiutati” che schifo.
      ma va cagher.

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