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Sono stato stuprat@, e me ne vergogno…

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Eccovi una storia di violenza. Uno stupro, una costrizione, una pressione psicologica, un abuso dei desideri. A raccontare è l*i. Buona lettura!

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E’ successo parecchi anni fa, ero più giovane e allegro e non pensavo assolutamente che potesse succedere a me.
Stavo uscendo da una fase pessima della mia vita, ne stavo uscendo da solo e senza nessun aiuto.
Stavo cercando di fare nuove amicizie, quelle precedenti mi avevano fatto solo del male, usandomi quando era conveniente,
del resto prendendosela spesso e volentieri con me per il mio “essere strano” e “diverso”.

Ovvero in una fase di profonda depressione, di cui allora avevo solo una vaga idea, come caratteristiche e sviluppo.
Ne ero emerso dopo forse i 3 anni peggiori della mia vita.
Il mondo mi sembrava un posto migliore, vedevo di nuovo i colori farsi più intensi e vivaci, stavo conoscendo qualche persona interessante.
La mia famiglia, però, rimaneva un problema. La mia famiglia non è mai stata una famiglia, fin da quando io ne abbia memoria,
tranne, che so, in 1 giorno su 100; 3 virgola qualcosa giornate l’anno.
Avevo iniziato a conoscere una ragazza, un po’ lontana ma sembrava valerne la pena. Ero innamorato perso. Lei anche, o così sembrava.. iniziò a raccontarmi di problemi coi suoi, problemi con altri, situazione familiare pessima (peggio della mia, e di parecchio). Stava male anche lei, però sembrava volesse vedermi comunque.

Quell’estate, dovevamo vederci; una mia nuova amica (con quasi 18 anni d’età più di me) si era offerta di ospitarmi, qualora ne avessi avuto bisogno.
Quell’estate, le cose coi miei andarono ulteriormente peggio. Io cercavo di attaccarmi alle nuove cose buone, loro cercavano di “normalizzarmi” e uniformarmi, come sempre, ai LORO standard-aspettative-valori-comandi (in quanto genitori, padroni di casa, datori di denaro, in pratica pensavano – e pensano ancora, anche se meno – di “possedermi” e aver ogni diritto di decidere per me, di impormi decisioni, di orientare e fare pressioni su ogni parte della mia vita).

Non c’entra direttamente, ma contestualizzo.
Decisi di andare dalla mia amica, felicemente ospitante (erano almeno 6-7 mesi che mi ripeteva l’invito), staccare dai miei e poter finalmente conoscere quella ragazza, C.
Pareva tutto a posto, più o meno.
Feci lo zaino e sparii senza dir niente, lasciai solo un biglietto sotto la porta con scritto “vado via per un po’, poi torno” e nient’altro.
Mi sentivo molto drammatico, eroico, avventuroso e innamorato. Poi, la mia amica (che avevo già visto un’altra volta volta, mesi prima, per pochi giorni) era molto affettuosa e protettiva, con me.

Arrivai da lei, chiamai C.
Iniziarono i drammi. C. era gelosa perché stavo da un’amica, non importa se molto più grande. C. aveva dei casini. C. iniziò a darmi addosso e ad essere gelosa (non so perché, lo scoprii poi) in senso retroattivo, addirittura della mia ex dell’anno prima.
Le cose peggiorarono giorno dopo giorno, stavo sempre peggio e anche la mia amica sembrava più fredda, scocciata e distante.
Alla fine C. smise di rispondermi, dopo avermi urlato contro (per motivi che scoprii, anch’essi, dopo mesi, e che non dipendevano da me, se non altro).
Tutto ciò durò 3 settimane, forse 4.

Io ero tornato a stare male, in quegli stati che, scoprirò in seguito, si chiamano derealizzazione e depersonalizzazione. In pratica, oltre ai sintomi depressivi standard, ti senti vuoto e incolore, incapace di agire e modificare il mondo, ti osservi da fuori come vedendo un film, ti senti e sei una macchina inabile, inetta, che svolge ogni cosa, anche la più basilare, con immensa fatica.
Non hai un motivo per muoverti o per alzarti. Ogni cosa è infinitamente faticosa, il più piccolo ostacolo, la più piccola contrarietà o frase sbagliata sono dilanianti, non fanno che rinchiuderti ancora e ancora di più nel tuo guscio di vuoto e sofferenza, di cui non parli perché non sai cosa dire, non sai come comunicare o spiegarti, sai che rideranno o diranno che sono solo cose passeggere, stai esagerando, fai del vittimismo, non è che un alibi, sei tu non vuoi far nulla, la colpa è tua.

La parola colpa, COLPA, in particolare, si ingigantisce e si estende oltre i limiti del verosimile, diventa una cosa gigantesca e abnorme, occupa ogni tuo spazio vitale.
Tu (io) vorresti solo sparire, non dare fastidio, morire o, volendo, sprofondare in totale solitudine da qualche parte, in qualche spazio vuoto irraggiungibile da tutto e tutti.
Smisi di sentire C, dopo ulteriori litigi e insulti (io smisi di cercarla, e lei sparì, per poi rifarsi viva mesi dopo).
La mia amica, una sera d’estate, mi preparò qualcosa da bere (non ricordo se acqua limonata o succo di frutta, poco importa: io non lo volevo ma lei si offese e io accettai).

Dopo, venne a letto con me. Mi disse cose, mi propose cose, mi disse di dirle di sì, iniziò a svestirmi. Era notte, io mi sentivo totalmente estraneo a tutto ciò. Lasciai fare, sì, e mi vergogno di questo. Ma non mi sentivo in grado di pensare-reagire, era un film anche questo, ero totalmente estraneo a ciò, vedevo ogni cosa offuscata, non percepivo sensazioni tattili, né senso del gusto, né sentivo di avere una bocca o una lingua o degli occhi, o un corpo senziente.
Mi svegliai verso mezzogiorno passato/l’1 (eravamo forse andati a letto – in origine per dormire – verso le 23,30 o poco dopo).
Non capivo esattamente cosa fosse successo, finché la sera lei non me ne parlò.

Incominciai a sentirmi ancora più male; a volte finsi di dormire, altre volte lei fece di tutto (e intendo anche sessualmente) per farmi “svegliare” e poter avere un qualche tipo di rapporto.
Non so dove e come trovai le forze, ma dopo una settimana\10 giorni da quella prima notte, riuscii a dire che dovevo tornare a casa\era successo qualcosa\una qualsiasi scusa, feci di nuovo i bagagli e riuscii ad uscire da lì.
Tornato a casa, non la rividi mai più, ovviamente.
Ma impiegai mesi\anni, prima di riuscire a capire esattamente come e cosa fosse accaduto, e che io non avevo voluto nulla di ciò, che quello era stato approfittarsene, da parte sua (consapevolissima del mio stato) e che in realtà, io non ero colpevole di quello.

Ci misi anni anche prima di cancellarla dalle amicizie, dalle chiamate, dalle “persone amiche”, dai punti di riferimento (quale lei era prima).
Ne parlai a una persona amica, mesi dopo (o forse un anno dopo o simili); tale persona disse che era stato soltanto sesso, che io esageravo, e che i maschi non subiscono stupri, casomai li fanno.
(C. si rifece viva ma le cose erano andate, i dissidi e litigi tira e molla continuarono ancora per tantissimo tempo, ma non volle mai vedermi.)
Anche con la seconda amica, in seguito, le cose s’incrinarono fino a spezzarsi; non accettava il nuov* me, il come ero-mi sentivo-pensavo, sminuendomi e “lasciandomi perdere”, poiché ormai non rientravo dei suoi standard di pensiero “normale”.

Sono passati molti anni da allora, ma ho tutte le cose impresse in mente, e man mano che le ri-analizzo, non migliorano mai, ma trovo sempre nuovi, piccoli tasselli di significato che vanno a posto.
Tutt’ora il comunicare qualcosa di tutto questo mi fa provare tantissima rabbia, vergogna, disgusto e disprezzo: verso di lei\loro, e verso me stess*. E anche colpa, sì.

Chi vi scrive è una persona che si è scopert* bisex e bigender, nel tempo. All’epoca non sapevo nemmeno esistesse la seconda parola, in compenso conoscevo benissimo un sacco di insulti più o meno velati, a tema omofobo.

A.

 

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