La mia vita è stata costellata da episodi di violenze delle quali non mi va di parlare. Sono cresciuta in una famiglia numerosa anche se, praticamente, non non potevo mai contare sui miei genitori. Uno dei due infine è morto e poco dopo sono rimasta incinta. Mi sono detta poi che io cercavo una famiglia, era un modo per riparare al dolore. Non sapevo quale direzione prendere e volevo ritornare a vivere dopo un tempo infinito in cui la mia vita scorreva con me che stavo sempre a letto e cercavo protezione e amore.
Ero felice, lo eravamo entrambi, io e il mio compagno. Di questo si ricordano tutti. Quel che hanno dimenticato è la paura, lo sconforto, la voglia di abortire, perché sono cose che io non ho mai detto a nessuno. Non volevo deludere lui e non volevo che mi lasciasse. Temevo di restare sola e non potevo sopportarlo. Se quello era il prezzo in qualche modo lo avrei pagato. E allora ho portato avanti la gravidanza, ho tentato di passar sopra all’invadenza della nuova famiglia, al disprezzo di mio padre, al senso di inadeguatezza e solitudine.
Avevo abbandonato gli studi, restavo tutto il giorno fissa sul divano o il letto. Raccontavo balle. Dicevo di aver sonno a causa della gravidanza. Ma in realtà continuavo a essere depressa. Pensavo che dopo il parto sarebbe stato diverso. C’è così tanta retorica che spinge a pensare che un figlio sia la soluzione, il palliativo per ogni forma di malessere, individuale e sociale. Nascerà mio figlio, pensavo, io lo guarderò negli occhi e diventerò una madre presente, allegra, mai tanto distante così come invece è stata la mia per me.
La gravidanza l’ho vissuta investendo su quel nuovo progetto. Ho letto tanto, ho contattato altre persone che hanno vissuto il parto in modo naturale, spontaneo. Mi sono informata e pensavo così che partorire non sarebbe stato un trauma, né per me né per mio figlio. Poi lui è nato e mi sono resa conto di aver sbagliato tutto. Quel che c’era scritto nei libri non è vero. Non è istintivo voler bene a un figlio. È una cosa che riguardava me e me soltanto. E io che non amavo neppure me stessa che tipo di amore avrei potuto dare a mio figlio?
Mi sono ritrovata sola, completamente sola, a cercare di radicarmi in una famiglia che non era la mia, a tentare di scovare un po’ d’amore per me stessa, a osservare quel bambino che non avevo affatto voglia di conoscere. Quando mi hanno chiesto di riconoscerlo ho pensato che sarebbe stato meglio andare via, godermi la mia meritata libertà, cercarmi altrove, perché io non sarei stata in grado di dargli quel che meritava.
Sono passati anni e ancora posso dire di non provare amore per mio figlio. Mi addormento sempre immaginando quel che avrei potuto fare o potrei fare se lui non ci fosse. Lo odio un po’ e penso di non essere diversa dai miei genitori. Presenti il giusto. Poco affettuosi, niente abbracci. Niente “ti voglio bene”, niente rassicurazioni, cura, vicinanza. Non che io non abbia la capacità di amare ma i figli si dovrebbero fare, o almeno così è per me, quando hai gli strumenti giusti per potertene prendere cura. Io non ero pronta a fare un figlio. Non sono ancora pronta a crescerlo. Non capisco ancora come ho fatto a immaginarmi madre e come ho potuto pensare che la mia vita così si sarebbe risolta.
Come posso dire queste cose al mondo? Mi guarderebbero come se io fossi una povera sciocca che manca di qualcosa. Mi imporrebbero mille sensi di colpa, come se non bastassero quelli che ho già. Mi restituirebbero la solitudine che mi ha accompagnato per tutta la vita. Come posso dire che vorrei che mio figlio crescesse con quella nuova famiglia sgravandomi di ogni tipo di responsabilità? Inutile poi dire, come ho letto, che col tempo si impara ad amare un figlio. Per me non è così. Penso ancora di non volere questa vita. Penso di essere nel corpo sbagliato, nella vita sbagliata e mi vergogno molto perché so che dovrei assumermi delle responsabilità, ma è più responsabile restare con un figlio che non ho mai voluto o lasciarlo alle cure di chi stravede per lui?
Come posso ricominciare? Da dove inizio? Dove dovrei provare a cercarmi. Così respiro, lentamente, mi avvicino al mio compagno e glielo dico. Parlo senza interruzioni. Sono un fiume in piena. Lui mi guarda atterrito, poi triste e infine siede sul divano, a testa bassa, e mi guarda come se non mi conoscesse. Lo so che non è semplice pensare che la persona che hai davanti possa nutrire simili sentimenti e deve essere difficile pensare di essere stati, in un certo senso, affettivamente usati, per colmare un vuoto emotivo. Dico al mio compagno che ho bisogno d’aria. Voglio andarmene, lontano. Voglio vedere il mondo, voglio ricominciare a studiare. Voglio crescere e seguire il mio tempo, perché sono infelice e depressa e non posso restare chiusa in una gabbia dalla quale altrimenti non riuscirò a uscire mai.
Lui ci riflette un po’. Si avvia verso la cucina. Mette su una pentola d’acqua per fare la pasta. Apparecchia per due, perché mio figlio e da mia suocera. Mi dice “siediti” e allora confessa che si sente in colpa anche lui, perché non ha capito, ha pensato solo a se stesso, alla sua felicità, ai suoi desideri e voler bene una persona significa scovarne le fragilità e porgere aiuto anche se questo significa dover rinunciare a qualcosa. Mi dice che avrebbe dovuto capire che non sarebbe durata per sempre, perché non ero fatta per restare. Non sono affatto quella che aspetta a casa mentre lui viaggia e lavora e poi torna e mi offre il suo punto di vista sul mondo. Mi dice che possiamo riorganizzarci. Torna all’università, vai a trovare degli amici, resta altrove a pensare a quello che vuoi, ma se decidi di andare il bambino resta qui. Quello è l’accordo. Il bambino resta con lui e la sua famiglia. D’altronde, e me lo dice un po’ stizzito, è quello che in fondo vuoi, no? Decidi e fammi sapere.
E io mi sento stretta da un ricatto. Non posso avere tutto, nessuno può, quando sarò lontana lui mi mancherà? E mio figlio? Avrò fatto la scelta giusta o devo solo superare questo momento e avere pazienza finché il bambino cresce un altro po’? Mi sento senza una prospettiva, senza vie d’uscita. Non so nulla e resta questa domanda sospesa. Ho un tempo X per dare una risposta a lui e sento che è più freddo. Lontano. Deluso. È notte e vorrei riparare. Dirgli che gli voglio bene anche se sono quella di cui gli ho parlato. Lo cerco, allungo una mano. Lui resta immobile, perché è così che viene ripagata una rivendicazione di indipendenza. Con la solitudine. Così mi giro anch’io. Abbraccio il cuscino. E sono sola. Di nuovo. Sola a scegliere quello che farò domani.
Ps: è una storia vera, grazie a chi me l’ha raccontata. Ogni riferimento a cose, fatti e persone, è puramente casuale.
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Mi sembra normale che lei non riesca a voler bene al figlio; non è mai stata amata, non ha mai ricevuto forza o conforto da nessuno e queste sono due condizioni fondamentali per costruire la propria fiducia e il rispetto in se stessa. Secondo me è normalissimo che si comporti così, si sente confusa e in trappola perché non ha mai potuto capire cosa sia “giusto” o “sbagliato” per lei, per la sua vita. E’ del tutto normale che non sappia cosa vuole perché è sempre stata costretta alla solitudine. Non è giusto che si senta in colpa, l’unica cosa giusta secondo me, per lei ora è provvedere a se stessa, cercare un modo, una situazione che la faccia sentire bene, cercare persone che le sappiano dimostrare stima e affetto, che la sappiano ascoltare. Lei, mi pare di capire, che, tutto questo non l’ha mai avuto e non è arida, è solo una persona dalla quale non si può pretendere che riesca ad accettare e regalare affetto al figlio, quando lei per prima, quasi non sa cosa significhi ricevere affetto. E… tutte quelle idiozie sull’istinto materno, che come vedi il bambino, gli vuoi subito bene… sì, secondo me sono idiozie perché chiunque agisce nei confronti degli altri, (anche se magari a volte non del tutto), secondo il proprio vissuto.
Concordo con quanto scritto sopra….. non si può riuscire ad amare per forza un figlio, se non si è state amate da bambine!!
Al mondo ci si viene da soli. Dal mondo ce se ne va da soli. Lo ha scoperto ora?
Si percepisce una critica negativa alla risposta del compagno…ma si sa, le donne non vogliono soluzioni. Vogliono solo essere ascoltate perche’ sono l’ombelico del mondo e tutto ruota intorno a loro, ivi compresi i figli che non hanno chiesto loro di essere messi al mondo.
Un chiaro segno di civilta’!!!
Io credo che il suo compagno si sia comportato più che bene. È stato non solo comprensivo, ma le ha anche detto di fare quello che sente. Non può anche pretendere da lui che non sia freddo, ma non perché come immagina lei “la richiesta di indipendenza si accompagna con la solitudine” ma perché lei gli ha di fatto mentito per anni. Lui non se n’è accorto,è vero, ma troppo spesso pretendiamo do essere capiti senza dare indizi. Non c’è colpa nel non voler essere madre. C’è colpa nella codardia. Leo adesso ha trovato il coraggio: faccia quello che si sente di fare. Viaggi, studi. Anche io a volte vorrei lasciar tutto perché non mi sento una persona stabile, vorrei lasciar studi e viaggiare, essere indipendente totalmente, fare nuove amicizie. Però allo stesso tempo so che non sarebbe la mia soluzione, perché il prezzo della totale completa libertà è davvero l’essere soli,nel senso che non c’è nessuno a cui ti vincoli ma nemmeno nessuno su contare . Come il lupo nella steppa di herman hesse (lettura che le consiglio).
Lei gli ha mentito, ma si è anche addossata per anni le enormi responsabilità che questa “menzogna” ha comportato, andando avanti immagino anche per vedere se nel frattempo cambiava qualcosa e riusciva a renderli felici. Può essere letta come codardia o come coraggio, comunque sia è un atteggiamento che quasi tutti noi assumiamo nei confronti delle situazioni che ci fanno paura o ci fanno star male: la prima fase è quella della negazione. Si evince tra l’altro che è una ragazza giovane e senza una famiglia che la sostenga, quindi immagino sia una situazione estremamente difficile.
non mi sembra una cosa corretta!!!!come si può non amare un figlio!!!!non è normale e soprattutto continuo a ripetere la stessa cosa….”continuare a studiare”….mia madre aveva me e studiava e i miei viaggiavano con me..non si puo stare tutta la vita in una discoteca e pensare anche dopo una certa età a queste cose stupide che nella vita non ti danno niente.Quando il bambino crescerà sarà troppo tardi.Un figlio come puo amare una madre che dice di odiarlo e preferire il divertimento?un figlio è una scelta importante e non si fa tanto per sperimentare qualcosa.Ci sono tante madri che hanno cambiato vita per i figli e magari poverine vengono boicottate dalla società…ci sono madri che avevano imboccato strade sbagliate e sono tornate sulla retta via con grandissima forza di volontà in nome dei figli…io queste madri che prima fanno i figli e poi si vogliono divertire sinceramente non le capisco.
io penso ..per esperienza personale..che non c entra nulla non essere stata amata dai tuoi ,non e una giustificazione per non amare la creatura indifesa che ti e cresciuta in grembo.Semplicemente , ci sono donne senza istinto materno!
Io non mi sono mai sentita amata dai miei…eppure io voglio dare tutto l amore che non ho mai avuto a mia figlia
Lei non è una madre snaturata, lei è semplicemente depressa e deve farsi curare. Vada da un terapeuta prima che perda irrimediabilmente la sua famiglia. Ci sono scoperte e viaggi che può fare anche insieme a suo figlio, alla sua famiglia. Ma curi la sua depressione, prima di tutto.
Consiglio la lettura di “Dalla parte delle bambine” e il suo seguito “Ancora dalla parte delle bambine”, illuminanti sul concetto di maternità e su ciò che la società impone alla donna attraverso l’educazione (dal nido in poi) e i conseguenti messaggi pubblicitari (in 40 anni, se si conisidera che il primo libro è del ’73, moooolto poco è cambiato). Il peso della maternità innata, il senso di inadeguatezza, il peso della responsabilità…in parte ci sono dentro anche io come madre, anche se, ora come ora, non riuscirei a lasciare mia figlia. Ma il senso di vuoto, il pensiero costante di aver messo da parte me stessa…resta.
Mi sento esattamente come te e ancora devo partorire.
Mi sento in colpa per questo, mi vergogno di me e di questo non amore
Quando ho letto che questa è una storia vera mi sono sentito triste. Ho sempre pensato che “chi siamo” e “come siamo” non è solo frutto del nostro passato o della nostra educazione ma in gran parte della fortuna….del caso. La fortuna é stata dalla parte mia e di mia moglie ma non di questa “mamma”. Non la giudico, non la disprezzo. Sinceramente mi fa tanto pena. Una pena infinita.
Io penso che il marito di questa donna non la ami. Un uomo innamorato l’avrebbe abbracciata, le avrebbe detto che era solo stanca ed avrebbe capito che una maternità totalizzante non è per tutte. Le avrebbe pagato una retta universitaria se non poteva permettersela ed un supporto psicologico(fra e righe percepisco che non ci sono problemi economici). I genitori di lui avrebbero potuto aiutarla qualche ora mentre era all’Università, anziché approfittare dell’occasione per “rubare” il figlio ad una donna colpevole solo di non essere beddamadresantissima e liberarsi di una nuora scomoda. Io non credo che una madre possa non amare un figlio, ma che le circostanze possano renderle odiosa la maternità soffocandole i sentimenti sì..Ho visto una mamma un giorno in libreria con un bimbo di un mese in braccio. Si comprava i libri per l’orale dell’esame da avvocato. Dove è scritto che una madre debba stare sempre a casa ad aspettare il marito? Percepisco una presenza oppressiva della famiglia di lui ed una grande arretratezza anche in lui stesso. Spero che questa donna non abbia rinunciato alla bimba per colpa di uno st— rimasto al Medioevo.
Io penso che ormai, specie nel nostro paese, la donna è vista automaticamente come madre solo perché è nata femmina. Ci considerano delle “mucche da allevamento” e se non abbiamo figli per scelta ci guardano dall’alto in basso come se fossimo delle poverine incompiute, perché si pensa che l’unico obiettivo nella vita di una donna sia quello di avere figli, altrimenti sei una donna a metà! Nessuno pensa invece che prima ancora di essere delle “sforna pargoli” siamo degli esseri umani con interessi, passioni, prospettive, sogni e soprattutto con un’identità che va al di là dell’avere dei figli! La maggior parte delle persone è convinta che l’istinto materno sia intrinseco in ognuna di noi, ma non è così! Se sei una cattiva madre, se non riesci ad amare tuo figlio/a come questa ragazza, vieni subito additata. Si pensa sempre e solo al bene del bambino, ma mai al bene di una donna che è innanzitutto una persona a tutti gli effetti e che si sente morire lentamente giorno dopo giorno. Certo, però chi se ne frega? Tanto il nostro obiettivo è figliare, dopo possiamo anche morire, tanto saremo sempre noi quelle “storte” .
Mi dispiace per questa povera ragazza e credo che la sua analisi sul fatto di portare dietro il dolore del passato ecc. sia proprio azzeccata. L’affetto di un genitore è molto importante per una buona crescita del bambino, perchè poi anche da adulto subirà ancora tanto, come in questo caso, la sofferenza di non riuscire ad amare il suo piccolo. Io consiglierei di andare in un consultorio famigliare oppure da uno specialista, giusto perchè in questo modo si può trovare una soluzione più adatta per questo caso. Mi dispiace tanto per questa ragazza, mi dispiace anche per le persone che non riescono a capirla, perchè non sanno che in questi casi abbiamo delle profonde ferite dell’infanzia che non si rimarginano così facilmente e non solo, non riescono neanche a sentire il dolore che si può provare.
Se non si vuole un figlio e non lo si vuole amare,allora si abortisca(non mi garba tanto questa soluzione ) o si dia in adozione,ma sentire madri che dicono che odiano il proprio figlio io proprio non lo riesco a condividere,insomma.