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Io, vittima di sfruttamento, voglio la regolarizzazione per chi sceglie di prostituirsi

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Quando si parla di sfruttamento della prostituzione in genere ci si riferisce ai mostri che ti sfruttano fuori casa. Nessuno vede quello che succede nelle famiglie, dentro casa. Un po’ come quando si parla della violenza sulle donne e si guarda al mostro che sta sempre altrove, anche se poi la violenza viene commessa in famiglia.

Mia madre cominciò a farmi prostituire che io avevo nove anni. Mio padre era morto, lei era povera, c’era un fratello piccolo da crescere, e quando cercò di prostituirsi vide che alcuni clienti chiedevano di me ed erano disposti a pagare di più. All’inizio mi facevano spogliare e mi accarezzavano mentre si facevano una sega. Mia madre si vantava di essere una signora perbene, di quelle che non avrebbero mai permesso che la figlia fosse “sverginata” in tenera età.

Poi le richieste si fecero man mano sempre più volgari. Spogliata e toccata mentre il cliente veniva stimolato da mia madre. Avevo 11 anni e andavo in prima media. Mi presi anche una cotta per un compagno di scuola. Una volta lo baciai. Poi lui disse che sapeva che mia madre era una “gran puttana” e non voleva “mischiarsi” con me. Non sapeva che mi prostituivo anch’io. Bastava solo lo stigma e la nomea materna per crearmi dei problemi.

Quando di anni ne avevo 14 i clienti erano pochi e mia madre guadagnava bene. E nel frattempo venne a casa mia un‘assistente sociale chiamata da qualche vicino o vicina che forse voleva aiutarmi. Mia madre disse che era tutto a posto. Non le credettero. Io ero anche stata contagiata con una malattia venerea e quando mi portarono dal medico dovetti dire che non sapevo chi me l’aveva passata.

Mi portarono in un istituto dove continuai gli studi dopo le medie con un corso di formazione che non mi è mai servito a niente. A mia madre tolsero anche mio fratello che fu affidato a un altro istituto. Lei rimase sola e senza prove che mi avesse fatto effettivamente prostituire non le fecero scontare altro.

Sono uscita fuori da quella esperienza molto disorientata, spaventata, senza certezze, avevo paura di tutto. Dopotutto quello era il solo mondo che avevo conosciuto. Mi esprimevo in maniera seduttiva con gli insegnanti, i compagni. Il mio linguaggio era piuttosto conforme a quel che ci si aspettava da me.

A 18 anni fui assunta da una signora che mi voleva come tuttofare. Le ragazze “perdute” che venivano dagli istituti gestiti dalle suore erano una garanzia di serietà e correttezza. Lavorai lì fino a quando non ebbi compiuto il ventesimo anno di età. Poi andai a fare la cameriera e mi trovai un posto in cui stare. Dopo alcuni anni ho conosciuto un ragazzo che mi ha voluto bene subito e mi ha accolto nella sua famiglia che in confronto alla mia era il paradiso.

Ero felice di questa svolta e pensavo che da quel momento in poi tutto sarebbe andato bene. Sono rimasta incinta, due volte, e in entrambi i casi ho avuto degli aborti spontanei. Non c’entrava niente con il fatto che io mi fossi prostituita ma mio marito lo pensò. Come se ci fosse una maledizione sulla mia testa. La terza gravidanza invece andò bene e nacque una bambina che ora ha 31 anni.

A lei ho detto tutto e sono stata attenta a farla crescere con tutta l’attenzione che le serviva. Non posso dire che sono felice ma sono serena. Con mio marito le cose vanno come sempre. C’è la routine, lui è un po’ scorbutico ma è un brav’uomo. Mia figlia ha studiato e ora vuole andare a vivere da sola. Di mia madre non ho saputo niente per anni. Poi mi hanno detto che è andata a vivere con uno che abitava nelle case popolari. Mi scrisse una lettera, una volta, per invitarmi a conoscerlo. Io non le risposi. Non volevo che lei entrasse a far parte della mia nuova vita e, soprattutto, non volevo che la sua presenza condizionasse la mia vita con mio marito e mia figlia.

Tengo i contatti con mio fratello, invece, che si è sistemato con una brava ragazza e ha due figli. Lavora tanto e si merita quello che ha. Lui trascorre con noi le feste comandate e mio marito lo frequenta anche per conto suo. Sono diventati amici. E questa è la famiglia che mi piace avere accanto.

Racconto questo perché sento parlare di prostituzione e si mischiano le cose. Non tutte quelle che si prostituiscono sono vittime e le vittime non è detto che siano d’accordo con il fatto che non sia riconosciuto il lavoro come legale.

Ho pensato tanto a questa cosa perché ho dovuto farci i conti per tutta la vita. Se quando ero piccola mia madre fosse andata a lavorare in un posto legale, con uno stipendio in regola, prostituta o no, io l’avrei appoggiata e ammirata. Non c’è niente di male a fare quel mestiere se si fa sulla propria pelle e perché ti va bene farlo. Mia madre però ha confuso la clandestinità con la possibilità di fare al buio il cazzo che voleva. La regolarizzazione del lavoro avrebbe preservato anche me perché avrebbe posto un limite tra quello che si può fare e quello che non si può fare.

Io non perdono mia madre per avermi imposto una cosa che non ho scelto e, soprattutto, non la perdono perché prima che i clienti è stata lei ad avermi trattato come una “cosa”.

Con i figli e le figlie questo non si fa. Se qualcuno avesse toccato mia figlia quando era piccola, ma perfino adesso, io gli avrei tagliato le mani. Non mi considero una madre migliore e non penso che tutte le madri devono essere sante ma mia madre ha superato il segno. Lo ha fatto come persona che ha sfruttato un’altra persona e mi ha riservato un destino che solo per mia volontà e tenacia è diventato un po’ migliore.

Quando si parla di prostituzione devono essere protette le persone che non vogliono esercitare quel mestiere. Vanno protetti i bambini e le bambine. Le adolescenti. Chiunque dichiari di fare la prostituta fuori dalla propria volontà. Ma si deve anche pensare a un’area di legittimità, che sta in superficie, visibile e perciò più protetta, per quelle donne, uomini, trans, che vogliono prostituirsi.

Lo dico da vittima che non vuole più sentirsi tale. Lo dico da persona che sa esattamente quel che succede quando tutto è squallido e ti consuma i sogni e le speranze.

E per chi cerca di scoprire dove sta lo sfruttamento e la schiavitù guardate prima dentro le famiglie. Non immaginereste mai quel che può succedere. Perché l’amore non è una cosa scontata e sono certa di questo perché l’ho vissuto sulla mia pelle. Perciò quando parlate di prostituzione pensate che ci sono io e poi quelle che a me non hanno mai fatto del male e che vogliono fare quel mestiere. Io non le sento nemiche e sono anzi felice che possano lavorare senza rischi e con un riconoscimento sociale. Chi dice di volerle proteggere e le obbliga a restare nascoste non fa il loro bene e permette il proliferare di situazioni come la mia. Ecco tutto.

Ps: è una storia vera. Grazie a chi me l’ha raccontata. Ogni riferimento a cose, fatti e persone è puramente casuale.

—>>>a margine dell’intervista vi segnalo l’iniziativa dei/delle sex workers a Roma, il 30 Aprile. QUI tutti i dettagli. Siate numeros*.

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