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L’orgasmo ospedaliero

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Vorrei rendervi partecipi di un disagio che rende la mia vita un inferno. Non ho mai appreso l’arte della masturbazione silenziosa. Non so come fanno gli altri, ma quando mi tocco io, si sente lo strusciare della mano nel lenzuolo, e poi il movimento accellera e il mio respiro si fa più pesante. Contraggo i muscoli e tremo anche un pochino. Perché io possa darmi soddisfazione devo restare sola in una stanza, chiudermi in bagno, o aspettare che tutti dormano profondissimamente sperando di non svegliarli. Il fatto è che in piedi non riesco a masturbarmi, perché ho bisogno di stringere le cosce e se le stringo forte non posso restare in equilibrio a lungo.

Essere a casa è un conto. Se hai qualcuno accanto puoi sempre chiedere aiuto. Ma se sei fuori casa, per esempio, in ospedale, e quando un giorno ti senti meno rincoglionita del solito hai voglia di regalarti una botta di vita, come lo fai? Quando lo fai? Figurati se c’è un momento in cui puoi contare sull’indifferenza altrui. Anzi, pare che tutti stiano lì in attesa a osservare le tue mosse. Come se avessero capito quello che stai per fare. Per impedirtelo, o per renderlo più difficile. Non è che sia così tanto semplice farsi venire voglia in una situazione problematica, ma certe volte serve a scaricare la tensione. È un modo perfetto per attenuare l’ansia, far rimettere in circolo un po’ di energie positive, e poi ti viene fuori quel sorriso da ebete che ti fa stare in pace col mondo intero.

E’ che non è concepito il fatto che una persona malata possa avere voglia di fare sesso. Perfino in alcune galere (non in Italia) c’è la sex room per chi ha il permesso di incontrare sessualmente la moglie o il marito. In ospedale niente. Tutto quello che toccano di te è per dovere e non per piacere. C’è una signora che per questioni neurologiche non ha mobilità agli arti superiori. Non ce la fa a lavarsi e allora tutte le mattine arriva l’infermiera che le sciacqua il culo, come si fa con i bambini, e lo fa mentre chi è vicino guarda. Lava via un po’ di merda, il piscio che è cascato sulle mutande, poi usa la spugna per lavar via le cose sporche dalla vulva, ed è quello l’unico momento in cui la donna viene toccata. Eppure mi diceva che la “cosa”, così come lei la chiama, le funziona, ma avendo malate alcune zone si presume che anche il resto non abbia alcun diritto di meritare un po’ di piacere.

Mi sembra tutto così perfido, come fosse obbligatorio considerare estraneo il proprio corpo. Tu chi sei? Non ti conosco. E tiri avanti facendo finta che non vi siete mai incontrati. Ricordo che una delle ambientazioni dei semi/porno all’italiana, quelli in cui c’era una bella attrice che faceva l’infermiera o l’insegnante, era proprio l’ospedale. Perciò ti aspetteresti un fuggi fuggi in stanze private a trombare tutti come matti. Infermieri con infermiere, medici con infermiere, infermieri e medici con le pazienti. Non dico cose indesiderate, ché quelle si chiamano stupri, ma parlo di quei momenti ludici e consensuali che venivano descritti sotto lo sguardo arrapato del Pierino di turno.

Invece proprio niente. Si teme perfino di toccare l’argomento. Quando la donna del letto di fronte tira fuori la coscia da impunita ottantenne, per richiamare l’attenzione del bell’infermiere che dovrà toccarla per rimetterla sotto le lenzuola, a tutte pare di vedere la scena più porno della terra. Ma la questione della masturbazione censurata resta aperta. Quando farlo? Come? Ed è sicuro che non se ne accorgeranno? Possibile che tra le tante sfighe devo pure vergognarmi di avere voglia di un orgasmo? Allora mi preparo a sera tardi per fingermi in coma anche se non lo sono. Invece che uno strofinio posso tentare un sali scendi con un dito. Se avessi le braccia lunghe mezzo metro in più, per guadagnare l’inclinazione giusta, forse potrei perfino farcela. Invece non funziona, e soffro di nostalgia da vibratore. Avevo detto di portarmelo ma poi mi fu fatto notare che il rumore è anche più forte che una manina in movimento. Di solito nell’attesa finisce che dormo, perché sono stanca anch’io, ma questa volta la conclusione deve essere certa. Parte la prima il cui russare è inconfondibile. Apposta io uso i tappi per le orecchie. E dire che mi ero offerta di prestarli ad altre, così avrei potuto masturbarmi senza preoccupazioni. Poi arriva il respiro lungo dell’altra. La terza impiega un po’ di più, perché le piace leggere proprio la notte, che palle sovrumane. La quarta si sveglia mille volte per andare al cesso. Posso provarci tra un sonno e un altro. Se mi metto d’impegno mi basta il tempo in cui è andata a pisciare.

Comincio per prepararmi. Un dito in rotazione, per tenere in caldo la faccenda. Stuzzico la clitoride, con calma e mille pause. Una si sveglia perché deve risolvere un problema col catetere. Dice che si è pisciata addosso. Arriva lo squadrone d’infermier*. Rimettono tutto a posto. Le luci accese svegliano le altre, io stramaledico il catetere disturbatore e per ingannare l’attesa mi metto a leggere. Vanno di nuovo via. Tutte si riaddormentano. È quasi l’alba e io continuo quell’assurdo roteare in fica. Pare che sto cucinando la pasta col sugo. Un giro a destra, uno a sinistra. Non fare attaccare la salsa perché poi sa di bruciato. Sento uno stimolo d’eccitamento. A occhi chiusi. Penso che mi hanno svegliata in mille modi e per quel che mi hanno fatto patire alcune notti credo che meriterebbero un orgasmo con l’urlo. Un urlo bello forte e gemiti e sospiri e lo scricchiolare della rete per la contrazione dei miei muscoli.

Invece in ospedale puoi dare di matto come ti pare ma masturbarti proprio no. Mi chiedo se a volte i ricchi chiedano il privilegio di una stanza singola proprio per poter masturbarsi in santa pace. Ma è un pensiero che va via in un attimo. Continuo a premere, girare, mescolare, stantuffare, separare, beccare la “cosa” e mentre sto quasi per venire la tizia di fronte a me tira su la schiena e guarda come fosse una sonnambula. Non devo farmi influenzare. Tira dritto e raggiungi la meta. Dai che ce la puoi fare. Non c’è nessuna masturbatrice brava come te. Sei la masturbatrice più brava del mondo. Un dito, forse due, mettiamo in conto anche l’altra mano, una fa pressione in un punto e l’altra si concentra altrove. Arriva, è fatta, ci sono. E merda. È l’ora delle medicine. Luce accesa. Con quale mano devo prendere le pillole? E se si accorgono che sono stata impegnata in zone basse? Ma vaffanculo. Sono i miei liquidi. Dico di lasciare sul comodino e prendo dopo.

Così mi rassegno. Prendo un fazzolettino profumato, mi ungo e mi detergo. Prendo le pillole e mentre una bestemmia mi si ferma in gola mi addormento. Rimarrò con la voglia d’orgasmo tutto il giorno. Poi dicono che per le donne la vita è più semplice. Siate solidali, please, ché un giorno potrebbe capitare anche a voi.

9 pensieri su “L’orgasmo ospedaliero”

  1. Sex room in carcere??? Stocazzo! In Spagna forse, in diversi altri paesi europei. In Italia non esiste, e se ti fai un pugnetta al cesso puoi persino ritrovarti la faccia di una guardia che ti percula dallo spioncino. Le uniche persone con cui potresti teoricamente fare sesso sono gli altri detenuti. Rettifica per favore la questione è tremendamente seria.

      1. Come ti scrivevo su FB era il caso di chiarire che si parlava di altre nazioni su un blog in italiano seguito da un pubblico italiano (vedo che hai corretto, grazie). La mia sensibilità non è stata ferita, sono stato in carcere per meno di tre mesi e potevo (quasi) permettermi di ridere della cosa. E nemmeno la sensibilità di migliaia di detenuti e detenute in Italia, deprivat* del tutto della propria sessualità, spesso per anni, potrebbe essere ferita da quell’unico sfortunato passaggio di un bell’articolo: nelle carceri italiane, salvo rarissime eccezioni, l’accesso a internet è fantascienza, la posta cartacea viene aperta e controllata, le telefonate – una a settimana, dieci minuti – sono ascoltate (non puoi nemmeno giocare a dirsi porcate al telefono!). Riviste porno, se circolano, lo fanno clandestinamente e a rischio di severe punizioni.
        Ecco, la questione che sollevavo riguarda la sensibilità di chi in un carcere non ci ha mai messo piede, che non ne conosce la quotidianità. Se questa sensibilità aumentasse vivremmo in una società davvero molto meno forcaiola, e quindi anche più libertaria, meno sessista, più disposta a confrontarsi con le differenze di ogni tipo.
        Il problema quindi non era nemmeno un’informazione sbagliata ma, come ti ho scritto, soprattutto quel “Perfino in alcune galere”, perché è un riflesso, un automatismo, un luogo comune: la galera è brutta, anzi più brutta, e così dev’essere, bruttissima. Avrei preferito non trovarlo riprodotto qui. Tutto qua.

        1. proverò a scriverne in altro modo, e se tu vuoi contribuire sarebbe anche meglio. comunque sia se cerchi su questo blog la parola carcere o galere troverai testi libertari perché per quel che mi riguarda le galere non dovrebbero neppure esistere.

  2. Si, ma tu come stai? E quando esci dall’ospedale?
    E comunque, spero niente di grave. C’è bisogno di persone come te, qui fuori.
    In bocca al lupo!

  3. L’ospedale è un posto di merda , per questo e molti altri motivi. Per me è stato traumatizzante. Spero che ti dimettano presto!!!!

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