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Senza fretta, un giorno dopo l’altro

::J.SaW.w:: Cyborg female
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E poi ti piglia la stanchezza. Di mettere al mondo nuovi paesaggi tutti i giorni. Di andare in cerca di opportunità. Dimentichi di dimenticare e ti ritrovi sul groppone infinite responsabilità personali e collettive. E poi il futuro sembra avere termine. C’è l’orizzonte e oltre la linea poi più nulla. Riversa sul letto, a contemplare l’ultima ferita dell’ago usato per uno dei tanti prelievi, a scorgere la linea delle vene che si diramano creando intersezioni e strade e minuscoli torrenti senza i quali la mia pelle sarebbe asciutta, quindi morta. Da qualche giorno ho un pessimo alito, colpa delle medicine, dicono, e quando sono a letto mi accorgo di bagnare il guanciale con una lacrima che inavvertitamente arriva dalla bocca. Non è saliva. E’ la bocca che piange. Non so come spiegarlo.

Quella bocca che piace tanto a lui, quando mi morde le labbra, le afferra e le confonde con le sue. Ogni giorno mi sveglio e ho un nuovo obiettivo da superare. Arrivare a sera senza farmi troppo male, senza perdere la spinta a ragionar di sogni, senza perdere attenzione per il mondo e le persone che lo abitano. Quanto è difficile guardare oltre sé quando tutto è così complicato. Eppure non ne posso fare a meno. L’aridità non mi appartiene e la mia solitudine è fatta anche dei silenzi che qualcun@ mi regala. Silenzi, rumorosi, e frammenti di battiti e altre lacrime emesse dalla bocca, dalle mani, dalle parole scritte o disegnate. Oh mia dea laica, fa’ che io non perda interesse per quel che mi circonda. Fa’ che io riesca sempre a osservare con curiosità, a mantenere il contatto con i dubbi, a farmi cieca a furia di leggere e imparare.

Ci sono momenti in cui la testa gira e gira, forte, molto forte, e sto a occhi chiusi, pensando a quello che dovrò fare, dire, immaginare. Ho fretta di guarire perché il mio pensiero è sano e non c’è nulla di più fastidioso di un corpo che non segue la stessa curiosa predisposizione alla velocità del tuo pensiero. E poi sei stanca, alzi il telefono e temi che arrivi una brutta notizia, non riesci neppure a prenderti per il culo guardando le stronzate postate sui social, perché non sei così. Troppo consapevole, disillusa, lucida per farti venire l’appetito per quei pasti artefatti e troppo manipolati. E odio le romanticherie, quelle condivisioni che rappresentano un superamento delle frustrazioni di ciascuno. Allora guardo fuori, ché devo uscire, fare la spesa. Signora, tutto bene? Uh, benissimo, guarda, sto che è una meraviglia. Cosa le servo? Mi dia qualcosa che mi faccia sparire il sapore di merda che sento nella bocca. Non so cosa darei per uno sciacquone esofageo.

E poi passo all’edicola, perché sono affezionata anche alla carta, per quanto le notizie io le guardi online. C’è il solito inserto che costa un euro in più e non ti serve a niente. Allora pago l’extra e chiedo che si tenga pure la cazzata più utile dal parrucchiere. Ecco cosa avevo dimenticato. A parte il resto, ma devo comprare lo shampoo. Ho i capelli che non si capisce più che forma hanno. Vanno per cazzi loro, anarchici, come me. C’è la vicina di pianerottolo che deve raccontarmi come è andata la giornata di sua figlia. Orgogliosissima del primo lavoro, e poi è così bella. Bellissima, senza dubbio, ma a me che cazzo me ne frega? Signora, abbia pazienza, devo andare. Cucino una pietanza saporita, più peperoncino, ancora di più, ché tanto la merda in bocca copre tutti i sapori. Sento la porta che s’apre, lentamente, un richiamo. Non spaventarti, sono io. Sei tu. Hai fame? Metto in tavola un piatto in più. Veramente no, non ero venuto per questo. Allora cosa? Tutto bene? Io si, e tu? Al telefono eri strana.

Sono un po’ stanca, di questo andirivieni medicamentoso, il calendario che non mi coadiuva più per darmi una scadenza. In effetti mi servi, se hai tempo. Puoi sedere sul divano, per favore, e io mi accoccolo vicino a te? A occhi chiusi. E tu mi accarezzi. Puoi? Si. E rubo un po’ di forza per il giorno dopo. Buona giornata a tutt*.

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