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Mia moglie vive male la maternità: come posso aiutarla?

Gianluca. Marito. Padre di un figlio di appena quattro mesi. Mia moglie è cresciuta in una famiglia parecchio incline a colpevolizzare le donne quando non svolgono i ruoli assegnati. Poi c’entra la formazione cattolica che penso non l’abbia risparmiata come non ha risparmiato molte tra le persone che conosco. Prima della nascita di mio figlio lei raccontava di una ricerca di valori e modelli alternativi. Era un esperimento che facevamo assieme. Poi credo solo che ad un certo punto abbia smesso, perché in assenza di risposte, quando sei piena di paure, ti affidi a quello che conosci, perfino a modelli sui quali pochi mesi prima avresti sputato.

Potrebbe sembrare paternalista il discorso che tento di fare, ma il punto è che non voglio giudicare mia moglie perché fa cose che non mi convincono. Il punto è che la vedo profondamente infelice e non so che cosa fare per aiutarla. Ho letto i racconti delle madri pentite di aver fatto un figlio o che sono seriamente in difficoltà e allora le ho chiesto, con discrezione, se lei sta vivendo una esperienza simile. Le ho detto che per qualunque cosa io ci sono. Non deve necessariamente dimostrare di essere wonder woman. Se vuole respirare, uscire, andare lontano, prendersi una vacanza, io e mia madre, ma anche mio fratello, siamo lì a dirle che possiamo organizzarci di conseguenza. Ma lei non accetta alcun aiuto. Mi dice che non si fida e questo un po’ mi ferisce perché so che il legame madre e figlio tende a escludere il mondo intero, ma se anche non faccio le cose così come vorrebbe lei sono comunque un genitore attento e scrupoloso.

Due mesi fa, dopo tante notti in bianco, il bambino ha avuto un problema di salute ora risolto, per fortuna, ma mia moglie si è sentita il colpa, come se dipendesse da lei. Allora si è irrigidita ancora di più sui tempi da trascorrere con quel figlio. Resta lì a guardarlo respirare anche la notte, con il terrore che vada in apnea. La sua famiglia in questo non l’aiuta affatto. Sua madre e sua sorella sono sempre lì a ricordarle che prima di ogni cosa deve fare la brava madre. Le parlano dei sacrifici, le conseguenze della scelta, che la vita cambia per sempre, sostanzialmente la terrorizzano e poi descrivono una situazione che non somiglia alla nostra. Sua madre ha avuto un marito che dei figli se ne fregava. Sua sorella è sposata con un tale che non ha mostrato grande interesse a fare il padre con più impegno. Io, però, non sono così, e mi rendo conto che mia moglie, invece, mi guarda come se io fossi il riflesso dei modelli maschili che conosce.

Due mesi fa, dicevo, è successo che bisognava solo stare un po’ più attenti e c’eravamo tutti a supportarla. Una sera, rientro dal lavoro, e la trovo svenuta sul divano. Aveva preso tante pillole, il bambino era già a dormire e c’era un biglietto che diceva una cosa del tipo “il bambino crescerà meglio con qualcun’altra. Io non sono capace di essere una buona madre”. Ho chiamato il 118, le hanno fatto una lavanda gastrica, ha dormito per tre giorni e poi le hanno consigliato di parlare con uno psichiatra. Lei si è rifiutata, ha firmato e si è fatta dimettere dall’ospedale. Da quel momento io ho avuto una doppia preoccupazione, per mio figlio e per lei. Ho capito che l’unico modo che lei ha di prendersi la famosa vacanza di cui parlavo prima è ammalarsi, rischiare di morire, altrimenti niente, non riesce a sganciarsi dalla logica della beddamatresantissima, martire, addolorata. Ho perciò chiesto a mia madre e a mio fratello di passare ogni tanto da casa per chiedere a mia moglie se mai avesse bisogno di aiuto. Senza farle pesare queste attenzioni, raccontando balle, sai passavo per caso, come sta il mio bel nipotino? Ma posso portarlo un po’ da me così me lo godo un pochino?

Ho riflettuto tanto sulle “buone” o le “cattive” madri e non invidio per niente mia moglie perché non riesco a immaginare come si senta e come possa reggere una pressione culturale così forte. Ma se lei per prima non si libera, se per seguire i modelli familiari accentra ogni cosa e fa tutto lei, mi sgrida se io muovo un dito e se prendo il bambino mi guarda come se io dovessi uccidere mio figlio da un momento all’altro, se non ha fiducia nel mondo e soprattutto non ha fiducia in me facendo vacillare un po’ anche le mie certezze, cosa posso fare io per farla sentire meno sola?

Leggendo le storie pubblicate su questo blog qualche volta ho pensato (forse sperato) che una delle madri che racconta tanto malessere potrebbe essere mia moglie. Vorrei chiederglielo e dirle che la capisco o vorrei per caso lasciare la schermata del computer accesa su un vostro post per farglielo leggere, ma ho paura che lei si irrigidisca ancora di più. È sulla difensiva e temo, anzi, che se vi leggesse – per difendere se stessa – giudicherebbe voi e lo farebbe anche con cattiveria, usando le parole che userebbe sua madre.

Insomma questo è quello che succede a casa mia e, lo ripeto, non sono l’uomo presuntuoso che pretende di sapere quel che è meglio per mia moglie. So che chi legge questo blog non è tanto sessista da non saper distinguere uno che vorrebbe vedere la propria compagna stare meglio da uno che vorrebbe solo, autoritariamente, toglierle il diritto di scelta perché la giudica un’imbecille o un’inferma di mente. Io non voglio sostituirmi a lei. Non le direi mai di farsi “curare” perché so che gli psichiatri le fanno venire l’orticaria. Non voglio farle da “tutore” né voglio patologizzarla perché penso che si sentirebbe peggio. Se c’è qualcosa che non voglio toglierle è la sicurezza che lei ripone sulle sue scelte, giuste o sbagliate che siano. Però sono preoccupato. Vorrei aiutarla e non so come fare. Lo chiedo a voi: come faccio a impedirle di farsi di nuovo del male?

Ps: è una storia vera. Grazie a chi me l’ha raccontata. Ogni riferimento a cose, fatti e persone è puramente casuale.

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3 pensieri su “Mia moglie vive male la maternità: come posso aiutarla?”

  1. Ciao, mi dispiace. Non posso dirti cosa fare, però ti dico cosa non mi piace di ciò che scrivi e penso che certe idee non andrebbero incoraggiate.
    1 – lei sta male, se non vuole farsi aiutare è un problema, ma qui c’entra poco la pressione culturale. Quella la subiscono tutti, il suicidio lo tentano in pochi.
    2 – quando una persona sta male parlare di diritto di scelta è arduo. Se uno ha un problema a una gamba esercita il diritto a curarsi, se ha problemi mentali di che parliamo?
    3 – non pensare a stronzate come l’uomo che fa il tutore. Non avete forse un figlio? non gli fate da tutore perché da solo non è in grado? Tua moglie non sta passando forse un momento in cui da sola non ce la fa?
    4 – la malattia è una cosa che si ha, non una cosa che si è. però la malattia esiste, e non c’è niente di male nell’averla, né nel riconoscerla negli altri. è un fatto. magari non è il caso di tua moglie, ma potrebbe essere il caso.

  2. Ciao. Intanto bravo. Secondo me comunque che lei percepisca la tua disponibilità è una cosa buona. Però a volte non basta. Certi tipi di depressione sono comunque una malattia “oggettiva” almeno per un po’ di tempo, e prima di riuscire a ragionarci sopra a volte bisogna banalmente tranquillizzarsi. Io detesto l’uso degli psicofarmaci, ma c’è stata comunque una fase della mia vita in cui ho dovuto usarli, perchè stavo talmente male da non riuscire neppure a pensare di affrontare la terapia “vera”, quella che mi ha portato ad affrontare alcuni problemi. E quando stai così male l’idea del suicidio ti può afferrare a tradimento.
    Per cui non si tratta di “farsi curare”. Si tratta di farsi dare un aiuto per qualche tempo, per riuscire a dormire e a non avere il rovello continuativo di qualcosa che nemmeno sai esattamente cos’è. Il problema è che se lei non è riuscita a razionalizzare il suo bisogno di aiuto nemmeno di fronte a un tentativo di suicidio, non so proprio che suggerimento darti, perchè segnali più forti di questo spero proprio non arrivino. Forse (forse) potresti parlare tu con un professionista, o magari anche più di uno, perchè trovare subito qualcuno che ti ispiri fiducia non è banale. Forse (forse) lei o lui potrebbero consigliarti meglio. Forse. E purtroppo, è una strada che costa dei soldi 😦

  3. premetto che condivido in toto i commenti precedenti, mi viene da pensare leggendo la tua storia che tua moglie sente tutti inadeguati a prendersi cura di un bambino, dico di un bambino che nel caso vostro è appunto vostro figlio .. te lo scrivo perché penso a cosa ha scritto bel biglietto (meglio siano altri ad occuparsene) e perché afferma in modo indiretto che di te nn si fida. Premesso che almeno il tentativo di suicidio doveva farla un attimo prendere atto che non sta bene e non può vivere così (non a caso ha tentato di uccidersi, anche se sa più di richiesta di aiuto che di volontà di morte) il modello che ha introiettato è un modello inarrivabile rispetto al quale non si è mai adeguati e che richiede sacrificio e pena. Bene, partendo da questo presupposto va scardinato con degli esempi ovvero mostrare più che dire che stare ad occuparsi di un bambino è divertente, è divertente se guardato con ironia pure sclerare, pure pensare di stramazzare per la fatica (i primi mesi sono davvero duri per tutti/e) .. sono divertenti persino pensieri fugaci di volarlo dalla finestra quando puoi raccontarli senza che sia successo niente … perché tutto ciò fa parte dell’avventura genitorialità, un viaggio lungo e pieno di ostacoli e contrattempi.. esattamente come si ride dell’aereo perso, dell’auto che si è rotta, del passaggio di fortuna a posteriori quando la vacanza è stata cmq qualcosa che ti ha dato .. Fai che ci sia leggerezza . e che appaiano normali, perché lo sono, i pensieri negativi . persino i sensi di inadeguatezza .. fa tutto parte del pacchetto genitore .. e fate le cose assieme .. e non solo tu e lei, ma lei e cognate, amiche, suocere, cognati, cugini etc .. ovvero prendersi cura assieme .. e se non si distrae si ricorra ad artifici .. senti mi vai a prendere quella cosa là? mi stendi la lavatrice? mi prepari un caffè? così si discosta gradualmente dal doversi sentire sempre presente senza doversi sentire inutile o in colpa .. come la sua educazione la spinge a fare, adesso lei non delega, ma niente dice che debba fare le cose da sola e farle assieme a persone che le mostrano che si possono fare in leggerezza penso potrebbe aiutarla (non solo questo cmq .. è vero che una depressione post maternità è comune, non facciamo drammi, ma cmq manco sottovalutiamo o meglio lei non sottovaluti . se ti prendi una ghiacciata ti viene il raffreddore, è cosa comune, ma no è che siccome è cosa comune non ti curi)

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