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Sono una prostituta e dis-onoro il padre e la madre

Foto di Ken Ichi Murata, tratta da Riotclitshave
Foto di Ken Ichi Murata, tratta da Riotclitshave

E’ il mio corpo sospeso quel che vedi all’orizzonte, sorretta da una collezione di spilli che oramai non pungono neanche più, e non c’è cosa peggiore che abituarsi al dolore. Quel che infastidisce a volte è solo il sangue, come se la vita liquida arrecasse disturbo alla carne sopita. Gli spilli sono le presunte verità che ti insegnano fin da piccola, uno dopo l’altro, ti si conficcano sulla pelle e la abituano a obbedire ai contorni secondo la norma estetica del tuo scultore. Quando, crescendo, ho cominciato a togliere gli aghi e a curare le ferite qualcuno ha detto che un corpo con troppa libertà di movimento non è una cosa buona per una ragazza. Non so perché ma considerai che quella fosse, in realtà, la spinta utile per vivere. Chi mi pungeva, per il mio bene, pensava a me come una farfalla imbalsamata e piantata su una parete piena di altri insetti. Da quel momento in poi il mio scopo era quello di provare tutto quello che non era buono per una ragazza.

Incontrai lingue che leccarono il mio sangue, e mani che mi tolsero gli spilli. Incontrai persone che chiedevano pensieri autentici e volevano sapere qualcosa in più di me. Ma cosa dire a parte il fatto che ero stata a lungo chiusa in un recinto di valori e di principi che mi facevano vergognare di essere fatta di odore, sapore, carne, pelle. Infine fu difficile, ancor più di tutto il resto, liberarmi dello sguardo del mio tutore. Vedevo attraverso le sue cornee, mi vergognavo di me stessa. Contraddicevo i miei propositi e non riuscivo, ancora, ad essere orgogliosa di me. Serviva che qualcuno mi infondesse sicurezza, autostima, per cancellare quella voce che restava nelle mie orecchie. Cosa vuoi fare fuori da qui? Diventerai una puttana. Tu non sei niente senza la tua famiglia. Tu non sei niente in ogni caso.

Ho mitigato e anestetizzato la tristezza incontrando un’orgia di corpi, ciascuno dei quali, serviva a fare dilatare e respirare i miei pori. Si pensa al sesso come qualcosa che ti consuma, ti spegne, e non si pensa mai che invece può essere quello che ti accende. Dannato moralismo dei sorveglianti delle vergini. Dannato fu mio padre e mia madre, che avrebbero voluto avere uno strumento per prevenire la mia deflorazione. Cosa ne sanno loro del fatto che sono stata io a togliere di mezzo la verginità, con dita, matite, poi con un bastone, perché volevo che quel sangue lavasse via un obbligo. Serviva che io fossi libera dalle costrizioni.

Si può dire dei propri genitori che li vorresti morti? O comunque lontani, affinché smetta la loro influenza sulla tua vita, giacché ti legano e tengono radicato il corpo a quelle origini, i divieti, i pregiudizi. E poi mia madre, quella grande stronza, che mi teneva ferma ogni volta che avevo bisogno di volare via. Unica figlia, io, senza sorelle, fratelli, solo io a diventare la destinataria di attenzioni non richieste, un corredo di consigli che non avrei mai seguito, una oppressione costante che talvolta mi ha fatto pensare fosse meglio morire. O io o loro, così mi sentivo. Ed è difficile spiegare che non si tratta di una crisi adolescenziale, di quando vuoi distruggere gli adulti per fare emergere la tua identità. Io ero già parecchio adulta, ma la mia identità era compromessa, per sempre, e non potevo cambiare la mia vita a meno che non fossi in grado di vivere priva dei pezzi che mi erano stati rubati.

Quando mia madre mi raccontò della maniera in cui sua madre trattava le tre figlie, pensava di trovare comprensione, ma io che c’entro, le dicevo, guarisci altrove, vattene via, esci dalla mia vita, e sono stata, così, una figlia che non ha amato i genitori e non li amo ancora adesso perché è troppo il male che mi hanno fatto. Quel che ho scoperto, senza censurarmi, è che non è necessario amare e onorare il padre e la madre. Vaffanculo al padre e vaffanculo alla madre. Hanno distrutto la mia vita e senza stare qui a piangere vittimismo nei secoli dei secoli, ché voi potreste pensare che sono la bambina che pensa sempre che qualunque cosa accada sia sempre colpa di qualcun altro, dico semplicemente che devono essere ciechi, cancellare la direzione di quello sguardo che sento sempre addosso.

Devono smetterla di sottomettermi e colpevolizzarmi e se si parla tanto di “sottomissione” nella coppia, quel che giammai si dice è che la prima sottomissione, della quale nessuno parla, è quella che lega figli e figlie allo schema di questi genitori stronzi, inaffidabili, bambini cresciuti che pensano sia giusto ricavare tutela per le loro paure opprimendo il prossimo.

Ho perso tanto sangue mentre toglievo i loro artigli dalle mie braccia, le cosce, dal mio ventre. Sono ancora qui sanguinante, ma sono viva e resto lontana da persone che mi hanno sequestrata per anni fintanto che non ho capito. Si. Ho capito. Non mi amavano. Quello non è amore. E quando questa cosa mi è stata più che chiara, quando mi sono liberata dal bisogno di farmi amare da loro e ho smesso ogni dipendenza, sono riuscita a essere quel che volevo. Forse non proprio la persona che avrei desiderato diventare, ma in fondo libera da costrizioni. Libera dalla famiglia.

Ho 47 anni. Mi sono liberata da quell’orrenda famiglia a 22 anni. Ho fatto la prostituta fino a 40 anni. Ora gestisco un pub assieme ad alcune compagne di viaggio che mi hanno protetta in tutto questo tempo. E’ un posto bello, dove chiunque è ben accetto e dove il tema di fondo impresso su ogni parete è il fatto che la libertà si cerca e si trova nei modi più disparati. Chi può giudicarmi per quel che sono adesso o sono stata? Chi può permettersi di dirmi come avrei dovuto emanciparmi dal bisogno? L’ambiente in cui ho vissuto, il mio contesto, è l’unico che mi ha permesso di coltivare la mia empatia, l’unico che mi ha permesso di non diventare arida.

Ho riguadagnato il diritto ad una sensibilità che altrimenti mi sarebbe stato negato. Soffro, rido e sono dispiaciuta, giusto un po’, perché questa mia storia, a volte, viene interpretata male. Mi vedono come la donna traumatizzata che è stata costretta a prostituirsi. Invece no. Io l’ho scelto, per i soldi, perché mi avrebbero permesso di non chiedere mai nulla ai miei genitori, perché volevo liberarmi da quei “protettori”, i miei magnaccia originari, che intendevano vendermi ad un buon partito accompagnando il mio culo con una piccola dote. Intendevano veder riprodurmi per obbligarmi a dare il loro nome a mio figlio. Volevano continuare a insegnarmi come vivere, respirare, amare, quando e come avrei dovuto aprire o chiudere le cosce.

Mi sono guadagnata il diritto all’esistenza a cosce aperte, a vagina spalancata e quando devo pensare a un santo penso a Santa Fica che mi ha protetta fino ad oggi. E’ Santa Fica che mi ha permesso di non essere una martire. E che Santa Fica protegga anche tutte voi!

Ps: questa è una storia vera. Grazie a chi me l’ha raccontata. Ogni riferimento a cose, fatti e persone è puramente casuale.

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