Antiautoritarismo, Autodeterminazione, Culture, Femministese, R-Esistenze

Cos’è la donna? La disputa tra femminismo radicale e transgenderismo!

ILLUSTRATION BY ALEX WILLIAMSON.
ILLUSTRATION BY ALEX WILLIAMSON.

Questo è un pezzo che racconta di una disputa della quale vi avevo già parlato QUI E QUI. Il pezzo originale che potete leggere sotto, grazie alla traduzione di Paolo Bello, sta QUI. Il femminismo radicale è riconosciuto, per via di alcune sue rappresentanti, come trans escludente, transfobico, e allo stesso tempo puttanofobo (per via delle posizioni abolizioniste sulla prostituzione). Faccio notare che questo lungo pezzo, che comunque vale la pena di leggere, tratta la questione in forma politically correct, dando ampio spazio alle strampalate teorie delle femministe radicali e a dichiarazioni di dubbia autenticità che denunciano ipotetiche minacce subite dalle FemRad ad opera di cattivissime trans. Da quel che riportano altri, secondo me più veritieri, report di militanti trans gli attacchi, gli sputi, le minacce, la violenza sarebbe stata quella di femministe radicali fortemente intolleranti nei confronti delle posizioni delle fem sex-positive, pro/regolarizzazione delle sex workers e trans. L’articolo parla anche di un eventuale ostracismo realizzato da ambienti Trans nei confronti delle fem/rad. In realtà è esattamente il contrario. Le iniziative delle attiviste trans vengono boicottate e talvolta subiscono picchetti di fanatiche insultanti che hanno lo stesso piglio delle più becere antiabortiste. In sintesi, le FemRad, per l’idea che divulgano quando dicono che il transgenderismo va di moda, che sarebbe una ideologia fashion, non esprimono né più e né meno che quello che direbbe qualunque persona omo/transfobica. Detto ciò, e consigliandovi di leggere anche i post linkati in fondo a questo pezzo, vi auguro una buona lettura!

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Il 24 maggio, poche decine di persone si sono riunite in una sala conferenze presso la Biblioteca Centrale, un edificio secolare costruito in stile georgiano nel centro di Portland, Oregon, per un evento chiamato Radfems Responds. La conferenza è stata convocata da un gruppo che voleva difendere due posizioni del femminismo che sono state oggetto di un anatema da gran parte della sinistra. In primo luogo, le organizzatrici speravano di confutare l’accusa circa il fatto che il desiderio di vietare la prostituzione implica ostilità verso le prostitute. Poi cercavano di spiegare il motivo per cui, in un momento in cui i diritti transgender sono in ascesa, le femministe radicali insistono nel considerare le donne transessuali come uomini, che non dovrebbero essere autorizzate ad utilizzare le strutture delle donne, come i bagni, o a partecipare ad eventi organizzati esclusivamente per le donne.

La disputa iniziò più di quarant’anni fa, al culmine della seconda ondata del movimento femminista. In una delle prime scaramucce, nel 1973, alla West Coast Lesbian Conference, a Los Angeles, le femministe si spaccarono furiosamente su un concerto in programma della cantante folk Beth Elliott, che era quella che allora si chiamava “transessuale”. Robin Morgan, l’oratrice principale, disse :

“Non chiamerò un maschio *Lei* (come se fosse donna)” ; 32 anni di sofferenza in questa società androcentrica, e l’essere sopravvissuta ad essa, mi hanno fatto guadagnare il titolo di “donna”; una passeggiata per strada nei panni di un maschio travestito, cinque minuti di molestie (che magari gli hanno procurato piacere), e lui osa, osa pensare di capire il nostro dolore? No, in nome di nostra madre e a nostro nome, non dobbiamo chiamarlo “sorella”.”

Queste opinioni oggi sono condivise da poche femministe, ma hanno comunque un punto d’appoggio tra alcune che si definiscono femministe radicali, che hanno compiuto una aspra battaglia contro le persone trans e i/le loro alleat*. Le donne trans affermano di essere donne (a tutti gli effetti), perché si sentono tali e dicono di avere un cervello (un sentire) di donna intrappolato in un corpo  maschile. Le femministe radicali rifiutano totalmente quest’idea. Loro credono che se le donne pensano e agiscono in modo diverso dagli uomini è perché la società le costringe, imponendo loro di essere sessualmente attraenti, formose e compiacenti. Nelle parole di Lierre Keith, relatrice a RadfemsResponds, la femminilità è “sottomissione ritualizzata.”

Da questo punto di vista, il genere è più una posizione di casta che un’identità precisa. Chiunque sia nato uomo conserva il privilegio maschile nella società – anche se sceglie di vivere come una donna, e accetta una corrispondente posizione sociale subordinata – e tale privilegio resiste per il fatto stesso che ha una possibilità di scelta (se diventare donna o meno) e perciò non potrà mai capire cosa significa realmente essere una donna. Per estensione, quando le donne trans chiedono di essere accettate in quanto donne semplicemente esercitano un’altra forma di imposizione del sesso maschile. Il ragionamento fa infuriare le donne trans e le loro supporters, che ricordano la discriminazione che le persone trans devono subire e sopportare; anche se il femminismo radicale è ben lontano dal raggiungere tutti i suoi obiettivi, le donne hanno ottenuto molto più parità di diritti, almeno in  termini formali, rispetto alle persone trans. Nella maggior parte degli Stati è legale licenziare qualcuno perchè transgender e chi è transgender non può entrare nelle forze armate. Una recente indagine condotta dal National Center for Transgender Equality and the National Gay and Lesbian Task Force ha trovato enormi livelli di violenza e persecuzione anti-trans. Il 41% delle persone transgender intervistate ha dichiarato di aver tentato il suicidio.

Eppure, allo stesso tempo, il movimento dei diritti transessuali sta crescendo in potenza e prestigio: una copertina di “Time” con l’attrice Laverne Cox aveva per titolo “Transgender Tipping Point”. La stessa parola”transgender”, che è entrata in uso negli anni novanta, comprende molte più persone del termine “transessuale”. Essa comprende non solo il piccolo numero di persone che vogliono cambiare sesso per via chirurgica – secondo stime più volte citate, circa un uomo su trentamila e una donna su a centomila – , ma anche coloro che prendono ormoni, o che semplicemente si identificano con il genere opposto, o, in alcuni casi, con entrambi i generi o con nessuno di essi. (Secondo un indagine del National Center, la maggior parte delle donne transessuali hanno preso ormoni femminili, ma solo un quarto, circa, ha subito un intervento chirurgico per cambiare sesso.) L’elasticità del termine “transgender” ha costretto a un ripensamento su ciò che significa sesso e genere; almeno nei circuiti progressisti, determinanti non sono la biologia, i cromosomi delle persone o i loro genitali o il modo in cui queste persone sono state educate, ma il modo in cui esse si vedono.

Dopo aver respinto questo assunto, le femministe radicali ora si trovano in una posizione che pochi avrebbero immaginato quando era iniziato il conflitto: scansate come reazionarie che stanno dalla parte sbagliata su una questione che riguarda i diritti di genere. Un’inversione politica sconcertante.
Radfems Risponds originariamente avrebbe dovuto aver luogo in una biblioteca della città, in una sala riunioni dei Quaccheri, ma le attiviste trans avevano lanciato una petizione su Change.org chiedendo che l’evento fosse annullato. Hanno detto che, ospitando la riunione, i Quaccheri si sarebbero messi contro le persone trans e “sarebbero stati complici della violenza nei loro confronti.” I Quaccheri, preoccupati, hanno revocato l’impegno e la disponibilità.

Non è stata la prima volta che un evento del genere è saltato. La conferenza Radfem 2012 avrebbe dovuto svolgersi a Londra, a Conway Hall, e si autodefiniva come “un hub per la libertà di parola e di pensiero indipendente”. Ma gli/le attivist* trans hanno contestato sia la politica per sole donne di Radfem, che voleva chiaramente escludere le donne trans – che la partecipazione di Sheila Jeffreys, una professoressa di scienze politiche presso l’Università di Melbourne. Jeffreys, conosciuta per la critica feroce che rivolge contro il movimento delle persone transgender, aveva in programma di parlare di prostituzione, e le organizzatrici dell’evento di Conway Hall hanno deciso che non potevano accettare relatrici “in conflitto con la nostra filosofia, i nostri principi e la nostra cultura.” In definitiva, l’evento si è svolto poi in una località rimasta segreta; gli organizzatori e le organizzatrici vi hanno scortato le delegate da un punto d’incontro nelle vicinanze. Radfem 2013 ha dovuto cambiare location, e lo stesso è successo in occasione di un incontro chiamato Radfem Rise Up a Toronto lo scorso anno.

In risposta, trentasette femministe radicali, comprese le grandi figure della seconda ondata, come Ti-Grace Atkinson, Kathie Sarachild, e Michele Wallace, hanno firmato una dichiarazione dal titolo “Discorso Proibito: Il silenziamento della critica femminista di genere'”, in cui hanno descritto il loro “allarme” per “minacce e attacchi, alcuni dei quali fisici, sugli individui e le organizzazioni che hanno il coraggio di sfidare il concetto di genere che oggi va tanto di moda.” In relazione a questo le organizzatrici del Radfems Respond avevano tenuto la Biblioteca Centrale come luogo di riserva, ma poi un post su Indymedia Portland ha annunciato:

Abbiamo chiesto all’amministrazione della biblioteca perchè mai autorizzi un gruppo odioso che promuove la discriminazione e la loro risposta è che non può cacciarle fuori a causa della libertà di parola. Così anche noi esercitiamo il nostro diritto alla libertà di parola nello spazio pubblico questo Sabato per cacciare le TERFS e Radfems fuori della nostra biblioteca e dalla nostra Portland!

(TERF sta per “femminista radicale trans escludente”. Il termine può essere utile per fare una distinzione con le femministe radicali che non condividono la stessa posizione, ma quelle a cui è diretto lo considerano un insulto.)

Messaggi offensivi cominciarono a proliferare su Twitter e, soprattutto, su Tumblr. Uno diceva , “/ kill/terfs 2K14.” Un altro suggeriva, “come sarebbe sottoporre le TERFS a torture di vario tipo? 2K14.” Una giovane blogger ha postato un Selfie con un coltello e la didascalia “portatemi una TERF.” Queste minacce sono diventate così comuni che i siti web delle radical-femministe hanno cominciato a catalogarle. “E’ la lesione di un diritto,” mi ha detto Lierre Keith. “Sono così arrabbiatI perchè non li vediamo come donne.” Keith è una scrittrice e un’attivista che gestisce una permaculture farm nel nord della California. Ha quarantanove anni, con capelli corti e T-shirt e jeans neri. Tre anni fa, ha co-fondato il gruppo ecofemminista Deep Green Resistance che conta circa duecento persone e si occupa del collegamento tra l’oppressione delle donne e il saccheggio del pianeta.

D.G.R. è fortemente militante, rifiuta di condannare l’uso della violenza al servizio di obiettivi che ritiene giusti. Nei circoli radicali, però, ciò che rende il Gruppo effettivamente controverso è la sua posizione sul sesso (sui generi). Per come la vedono i suoi membri, una persona nata con privilegio maschile non può più liberarsene attraverso un intervento chirurgico, allo stesso modo di come una persona bianca non può rivendicare un’identità afro-americana semplicemente scurendo la sua pelle. Quando D.G.R. ha tenuto la sua prima conferenza nel 2011, nel Wisconsin, il gruppo ha informato una persona che stava compiendo il processo di transizione da maschio a femmina che non poteva stare nei luoghi delle donne. “Abbiamo detto, va bene, se vuoi venire vieni, ma non potrai avere accesso ai posti letto delle donne e ai bagni delle donne,” ha detto Keith.

Lo scorso febbraio, Keith è stata chiamata a fare da oratrice principale alla Public Interest Environmental Law Conference, presso l’ University of Oregon, a Eugene, ma il consiglio studentesco ha votato contro, e più di un migliaio di persone hanno firmato una petizione che chiedeva che l’appuntamento fosse annullato. Tra minacce di violenza, sei poliziotti hanno scortato Keith al leggìo, anche se, alla fine, la protesta si è rivelata pacifica: alcuni membri del pubblico sono usciti e hanno tenuto una contro manifestazione, lasciando Keith a parlare in una stanza semivuota.

A Keith è andata meglio a Radfems Risponds, dove ha parlato delle differenze tra radicalismo e liberalismo. C’erano giovani persone gender-bending punk che sembrava fossero lì per protestare contro la sinistra durante la sessione di apertura sulla prostituzione. C’era un’ attivista per i diritti delle donne, che ha poi postato un beffardo clip preso da un video che aveva girato segretamente, ma che non disse nulla durante l’incontro. C’erano diverse donne trans sedute nelle ultime file, ma, in realtà, erano lì solo per esprimere solidarietà, dopo aver deciso che gli attacchi alle femministe radicali erano diventati fuori controllo e fuorvianti. Una di loro, una esile bionda quarantenne della Bay Area, che tiene un blog sotto il nome Snowflake Especial, ha osservato che tutta la violenza contro le donne trans della quale lei è a conoscenza è stata commessa da uomini. «Capite perché noi non abbiamo a che fare con loro?” ha chiesto.

Nonostante tale sorprendente dimostrazione di sostegno, la maggior parte delle oratrici si sentiva sotto attacco. Atom Russell ha tenuto un indignato discorso di chiusura. Era una donna tarchiata, con i capelli ricci color turchese e un’ombra di barba bluastra sulle guance, che indossava una maglietta con la scritta “Sono sopravvissuta all’avvelenamento del Testosterone.” A venticinque anni, è una “detransitioner,” una persona una volta identificata come transgender che ora non lo è più. (Stime di esperti riferiscono che il numero di transitioners che abbandonano il loro nuovo genere varia da meno dell’uno per cento fino al cinque per cento).

Russell, una lesbica che è cresciuta in una famiglia battista conservatrice nel sud della California, ha iniziato la transizione da donna a uomo quando era studentessa alla Humboldt State University, ed è stata supportata dai gruppi per i diritti di genere del campus. Ha iniziato a prendere ormoni e ha cambiato il suo nome. Poi, all’ultimo anno, ha scoperto”Unpaching Queer Politics” (2003), di Sheila Jeffreys, che critica il passaggio dal genere femminile a quello maschile come una sconfitta in favore della misoginia.

In un primo momento, il libro ha fatto infuriare Russell, ma non riusciva a risolvere le questioni che il libro aveva sollevato sulla sua identità. Aveva avuto palpitazioni cardiache dovute al disagio per gli ormoni che prendeva e non aveva mai creduto pienamente di appartenere al sesso maschile. A un certo punto durante la transizione, ha incontrato una donna trans di mezza età. Russell sapeva che avrebbe dovuto pensare a se stessa come un uomo con una donna, ma ha detto, “Non sto bene, e ho paura.” Alla fine, si è proclamata di nuovo donna, femminista radicale, anche se questo significava essere ostracizzata da molti suoi amici. Ora è fidanzata con una donna; qualcuno ha scritto la parola “lesbica” sulla macchina della sua fidanzata.

Russell viene citata nel nuovo libro di Sheila Jeffreys, “Gender Hurts: A Feminist Analysis of the Politics of Transgenderism.” Jeffreys, che ha sessantasei anni, ha i capelli corti grigi e un viso segnato dal tempo. Ha insegnato all’Università di Melbourne per 23 anni, ma è cresciuta a Londra, ed è stata descritta come l’Andrea Dworkin del Regno Unito. Ha già scritto nove libri tutti concentrati sulla sottomissione sessuale delle donne attraverso lo stupro, l’incesto, la pornografia, la prostituzione, o i canoni di bellezza occidentali. Come Dworkin, è vista come un’eroina da un gruppo di ammiratrici che la pensano come lei e come altre fanatiche dello stesso tipo. Nel 2005, in un bel pezzo sul Guardian, Julie Bindel ha scritto, “Jeffreys vede la sessualità come base dell’oppressione delle donne da parte degli uomini, più o meno allo stesso modo in cui Marx vedeva il capitalismo come il flagello della classe operaia. Questa convinzione incrollabile le ha procurato molti nemici. La teorica postmoderna Judith Halberstam ha detto una volta,’Se Sheila Jeffreys non esistesse, Camille Paglia avrebbe dovuto inventarla.’ ”

In otto vivaci capitoli (la metà dei quali scritti con l’ex studentessa di dottorato di Jeffreys, Lorene Gottschalk), “Gender Hurts” offre la prima analisi completa di Jeffreys del transgenderismo. Normalmente, ha detto, avrebbe presentato il nuovo libro con un evento presso l’università, ma c’erano problemi per la sicurezza del campus. Le avevano anche portato via il nome dalla porta del suo ufficio. Ha tenuto una conferenza a Londra questo mese, ma solo perchè invitata.

Nel libro, Jeffreys chiama i detransitioners come Russell “sopravvissuti”, e li cita come prova che il transgenderismo non è immutabile e quindi un intervento medico radicale non garantisce nulla. (Lei considera la chirurgia per il mutamento di sesso una forma di mutilazione.) “Il fenomeno del rimpianto mina l’idea che esiste un particolare tipo di persona che è realmente e sostanzialmente transgender e che può essere identificata con precisione dagli psichiatri”, scrive. “Questo è radicalmente destabilizzante del progetto transgender.” Lei cita come ulteriore prova il caso di Bradley Cooper, che, nel 2011, all’età di diciassette anni, è diventato il più giovane paziente del mutamento di sesso della Gran Bretagna e poi si è pentito pubblicamente della sua trasformazione l’anno successivo ed è tornato a vivere come un ragazzo. Jeffreys è particolarmente preoccupata dei medici che in Europa, Australia e Stati Uniti hanno curano i bambini transgender con farmaci che ritardano la pubertà e che impediscono loro di sviluppare le caratteristiche sessuali secondarie indesiderate e possono portare alla sterilità.

In tutto il libro Jeffreys insiste sull’uso di pronomi maschili per riferirsi alle donne trans e su quelli di sesso femminile per riferirsi agli uomini trans. “L’uso da parte degli uomini dei pronomi femminili nasconde il privilegio maschile a loro concesso in virtù del fatto che essi sono stati cresciuti come casta dominante di sesso maschile”, scrive. Per i suoi critici, il libro diventa particolarmente odioso quando cerca di spiegare la realtà delle persone trans. Spiegare la transizione femmina-maschio è abbastanza facile per lei (e per altre femministe radicali): le donne cercano di diventare uomini al fine di migliorare la propria condizione in un sistema sessista. Atom Russell, ad esempio, avrebbe avuto il desiderio di diventare un uomo per l’assenza di una “orgogliosa cultura d’amore della donna.”

Ma, se questo è vero, perché mai gli uomini si abbassano alla femminilità? Per motivi di feticismo sessuale, dice Jeffreys, e convalida le sue conclusioni con le teorie estremamente controverse di Ray Blanchard, professore in pensione di psichiatria presso l’Università di Toronto, e il con lavoro di J. Michael Bailey, professore di psicologia alla Northwestern University. Contrariamente alla credenza diffusa, afferma Blanchard, la maggior parte delle donne trans in Occidente non partono dall’essere uomini gay effeminati, ma uomini etero o bisessuali, e sono inizialmente motivati da costrizione erotica piuttosto che da un qualsiasi concetto di identità femminile . “Il punto centrale è che è davvero emozionante per i ragazzi immaginare se stessi con seni femminili, o con seni femminili e una vulva,” ha detto. Per descrivere la sindrome, Blanchard ha coniato il termine”autoginefilia”, cioè l’eccitazione sessuale al pensiero di se stessi al femminile.

Blanchard è lontano dal femminismo radicale. Egli ritiene che l’intervento chirurgico per cambiare sesso può alleviare la sofferenza psicologica; ha anche seguito persone che l’hanno subita. Egli accetta anche l’opinione diffusa che il cervello maschile differisca da quello femminile in maniera tale da influenzare il comportamento della persona. Tuttavia, Jeffreys ritiene che il lavoro di Blanchard e Bailey dimostri che quando le donne trans chiedono di essere accettate come donne lo fanno perchè hanno una fissazione erotica.

L’ultima volta che una femminista di qualsiasi condizione ha pubblicato un attacco al transgenderismo così caustico come “Gender Hurts” è stato nel 1979, quando JaniceRaymond ha prodotto “The Transsexual Empire:.The Making of del She-Male”. Raymond era una lesbica ex suora studentessa di dottorato della teologa radical-femminista Mary Daly, al Boston College. Ispirata dal movimento per la salute delle donne, Raymond ha impostato gran parte del “The Transsexual Empire” come una critica alla struttura medica e psichiatrica patriarcale. Eppure, il libro scorreva in una febbrile narrazione, soprattutto per quanto riguarda le donne trans lesbiche. “Tutti i transessuali violentano il corpo delle donne, riducendo la vera forma femminile in un artificio, appropriandosi del corpo femminile per se stessi”, ha scritto Raymond. “Comunque la transessualità derivante da una costruzione lesbico-femminista viola la sessualità e lo spirito femminile”

Tutto questo dà la misura di quanto le percezioni siano cambiate negli ultimi 35 anni da quando “Il Transsexual Empire” aveva ricevuto un rispettoso e addirittura ammirato ascolto da parte dei media, a differenza di “Gender Hurts”, che è stato in gran parte ignorato. In una recensione del “Transsexual Empire” sul Times, lo psichiatra Thomas Szasz l’aveva definito “impeccabile”. Raymond ha scritto, “ha giustamente colto il transessualismo come emblema di incessante, anche se sempre più nascosto, antifemminismo della società moderna.”

Una delle donne descritte da Raymond era Sandy Stone, un’artista di performance e accademica che questo autunno insegnerà arti digitali e nuovi media presso l’Università della California a Santa Cruz. Quando il libro di Raymond fu pubblicato, Stone era un tecnico di registrazione della Olivia Records, un collettivo musicale di donne a Los Angeles. Alla fine degli anni Sessanta, dopo la laurea, e mentre era ancora uomo, lei visse come in un bluff mentre lavorava nel famoso studio di registrazione Record Plant di New York, dove collaborò con Jimi Hendrix e i Velvet Underground. (Per un certo tempo dormì nel seminterrato dello studio, su una pila di vestiti di Hendrix.) poi si è spostata verso la West Coast e ha realizzato la transizione nel 1974. L’Olivia Records arrivò poco dopo; donne esperte ingegneri del suono erano difficili da trovare.

Stone diventò un membro del collettivo l’anno successivo e si trasferì in una casa comune in affitto, dove era l’unica donna trans tra una dozzina di lesbiche. Secondo “The Transsexual Empire ,” la sua presenza è stata una delle principali fonti di polemiche negli ambienti di lesbiche-femministe, ma Stone insiste sul fatto che era stato Raymond a creare il dissenso. “Quando il libro è uscito, siamo state sommerse di lettere di odio”, dice Stone. “Fino a quel momento, eravamo nomadi più o meno felici, suonavamo la nostra musica e facevamo il nostro lavoro politico.”
Stone ha ricevuto minacce di morte, ma alla fine è stata la minaccia di un boicottaggio che l’ha spinta fuori del collettivo. Ha poi conseguito un dottorato in filosofia a Santa Cruz. Nel 1987, Stone ha scritto un saggio, “L’Impero colpisce ancora: Un Manifesto posttransessuale”, che è considerato come il testo fondatore degli studi transgender. E’ ancora letto e diffuso in tutto il mondo; una seconda edizione francese sta per essere pubblicata, e Stone ha ricevuto una richiesta per consentire la traduzione catalana.

L’ultima volta che Janice Raymond ha scritto su questioni transgender è stato nel 1994, per una nuova introduzione a ” The Transsexual Empire .” Da allora, si è concentrata sul traffico sessuale, e lo scorso agosto un ente governativo norvegese l’ha invitata a Oslo a parlare di legislazione sulla prostituzione. Quando è arrivata, però, un funzionario la informò che l’invito era stato ritirato; una lettera al direttore di un importante quotidiano norvegese l’aveva accusata di transfobia. Raymond dice che cose simili sono “successe molto più frequentemente negli ultimi due anni.”

Il cambiamento più drammatico nella percezione del transgenderismo si ritrova nel mondo accademico. In particolare negli istituti d’arte, per gli studenti è normale routine chiedere quale pronome di genere preferiscano : le scelte potrebbero includere “ze,” “ou,” “hir,” “they,” o anche “it.”Dieci anni fa, nessuna università offriva un supporto sanitario per gli studenti che volevano affrontare una operazione di mutamento di sesso. Oggi, decine lo fanno, tra cui Harvard, Brown, Duke, Yale, Stanford, e gli istituti della University of California.

Ci sono giovani femministe radicali critiche nei confronti del transgenderismo, come Heath Atom Russell e Rachel Ivey, ventiquattrenni, che erano tra le organizzatrici di Radfems Responds, ma sono le prime ad ammettere di essere una minoranza. (“Se dovessi dire in una tipica classe di women’s studies di oggi, ‘le donne sono oppresse a partire dalla riproduzione,’ mi sarei chiamata fuori”,) dice Ivey. Altre studentesse, aggiunge, chiedevano: “Che dire delle donne che diventano maschi?”

Questa potrebbe essere un’esagerazione, ma solo un po’. I membri del consiglio di amministrazione del New York Abortion Access Fund, un gruppo di volontari che aiuta a pagare gli aborti di coloro che non se li possono permettere, sono per lo più giovani donne; Alison Turkos, co-presidente del gruppo, ha ventisei anni. Nel mese di maggio, hanno votato all’unanimità di smettere di usare la parola “donne” quando si parla di persone che restano incinte, in modo da non escludere gli uomini trans. “rendiamoci conto del fatto che le persone che si identificano come uomini possono rimanere incinte e a volte scelgono di abortire” dice la nuova Carta dei Valori del gruppo.

Una petizione su Change.org chiede a NARAL e a Planned Parenthood di adottare allo stesso modo un linguaggio di genere inclusivo. Si critica in particolare l’hashtag #StandWithTexasWomen, che girava su Twitter durante la fase di ostruzionismo della senatrice Wendy Davis contro una legge anti-aborto nel suo Stato, e la frase “Trust Women”, che era lo slogan di George Tiller, il medico che praticava aborti assassinato a Wichita nel 2009.

Ad alcune attiviste più giovani sembra ovvio che chi si oppone a tali variazioni è semplicemente aggrappata al privilegio inerente l’essere cisgender, una parola popolare negli anni Novanta che si riferisce a qualsiasi persona che non è transgender. AlisonTurkos ha ricevuto lamentele riguardo al fatto che il nuovo linguaggio occulterebbe il fatto che le donne cisgender devono sopportare il peso schiacciante degli attacchi politici in materia di diritti riproduttivi. Lei risponde, “Non è una ipotesi contemplata per chi vuole restare nella comfort zone, ma è importante creare uno spazio per più persone alle quali sono spesso negati spazio e visibilità.”

Le femministe più anziane che non hanno ancora adottato questo modo di pensare hanno la possibilità di rimettersi in discussione dopo aver ricevuto questa frustata ideologica. Sara San Martin Lynne, quarantenne di Oakland, regista e produttrice di video ha detto: “Quando provieni da un movimento di liberazione di sinistra, vuoi essere dalla parte giusta della storia”, e questo è un tipo dibattito che capovolge questo intento “L’anno scorso le fu chiesto di dimettersi dal direttivo della Bay Area Girls Rock Camp, un’organizzazione no-profit che mira all'”empowerment “delle donne attraverso la musica, ” a causa del suo coinvolgimento con la Michigan Womyn’s Music Festival, che si autodefinisce come un evento solo per “donne-nate donne “.

Il Michfest, così si chiama, si svolge ogni anno ad Agosto su seicentocinquanta acri di terra nei boschi ad est del Lago Michigan. Lisa Vogel lo inaugurò nel 1976, quando era una studentssa della Central Michigan University, e continua ancora oggi. La musica, dice Vogel, è solo una parte di ciò che rende il Michfest importante. Ogni anno, diverse migliaia di donne si accampano e si ritrovano, per una settimana, e vivono come in una sorta di matriarcato. I pasti sono cucinati in cucine da campo e mangiati in comunità. Ci sono laboratori e gruppi di lavoro. Alcune donne indossano costumi stravaganti; altre non portano nulla. C’è l’assistenza ai bambini gratuita e una squadra per aiutare le donne disabili che normalmente non possono andare in campeggio. Vogel descrive lo spirito del Festival in questo modo “Come sarebbe una città se potessimo veramente decidere noi che cosa è importante?”

Lei mi ha detto: “E’ qualcosa di incredibile quando vivo l’esperienza di camminare di notte senza una torcia elettrica nel bosco e sentire che in quel momento mi sento completamente sicuro. Consapevole del fatto che altre non possano farlo. “Ha continuato: “Se domani dichiarassimo l’iniziativa aperta anche alle persone trans, per farne un evento molto cool, penso che si perderebbe l’occasione di vivere un momento in cui le donne possono abbassare la guardia, godendo di un profondo senso di liberazione personale ed è questo il prezzo che pagheremmo.”

Per le attiviste transgender la posizione di Vogel è piena di assunti offensivi: le donne trans sarebbero essenzialmente diverse dalle altre donne, e sarebbero anche pericolose. “L’idea che le donne trans” costituiscano “una minaccia per gli spazi delle donne è diventata parte di un pregiudizio, di una narrazione tossica che resisterà sempre” mi ha detto Julia Serano. Secondo lei la questione è simile a quella degli eterosessuali che rifiutano di condividere uno spogliatoio con i gay o lesbiche. Serano, quarantasei anni, è una biologa che ora trascorre la maggior parte del suo tempo a scrivere e parlare su questioni transgender e sul femminismo; lo scorso anno ha insegnato nelle scuole, tra le quali Brown, Stanford, Smith, e Cornell. (Sheila Jeffreys l’ha attaccata in “GenderHurts”, utilizzando i dettagli autobiografici presi dal suo primo libro, “Whipping Girl: : A Transsexual Woman on Sexism and the Scapegoating of Femininity” (2007), per dipingerla come una” autoginefila ” che cerca di “reinventare il femminismo per soddisfare i suoi interessi erotici. “)

Nell’estate del 2003, Serano era con un centinaio di persone al Trans Camp, un camp di protesta nei pressi del sito del Michfest, che viene organizzato, non tutti gli anni, dal 1994. Serano ha detto che le relazioni con i/le partecipanti del Michfest erano spesso inaspettatamente cordiali. Qualche anno fa, ha detto Vogel, alcune ospiti avrebbero commesso atti di vandalismo come il furto di cavi elettrici, il taglio di tubi dell’acqua, il danneggiamento delle auto nel parcheggio, e avrebbero lasciato disegni, tipo un pene gigante, o scritte come “Le donne vere hanno il cazzo , “sul lato principale della tenda-cucina.

Da allora, come per il caso di Olivia Records, le manifestazioni sono state oggetto di una campagna di boicottaggio. L’anno scorso, le Indigo Girls, partecipanti di lunga data al Michfest, hanno annunciato che non avrebbero più partecipato fino a quando l’evento, ad oggi fatto da donne per donne, non avresse previsto l’inclusione delle persone trans. Quest’anno, una protagonista di primo piano, Hunter Valentine, si è chiamata fuori per lo stesso motivo. Altre personalità vengono boicottate per la loro presenza: La cantante funk Shelley Nicole dice che la sua band, BlaKbüshe, è stata cacciata da uno show a Brooklyn, perché avrebbe dovuto suonare al Michfest il mese successivo.

Prima che a Sara S. Martin Lynne fosse chiesto di lasciare il Bay Area Girls Rock Camp board lei non si considerava parte del femminismo radicale. Eppure, quando la campagna contro Michfest e contro il femminismo radicale nel suo complesso, è diventata più forte, ha sentito il bisogno di impegnarsi ancora di più per gli eventi di “donne-vere donne” “In questo momento in cui stiamo perdendo la capacità di dire la parola ‘donna’ o di riconoscere il fatto che solo chi nasce donna ne vive le conseguenze, quello che ciò significa è molto importante per me “.

Una delle donne transessuali che si sono presentate alla conferenza Radfems Respond, una trentacinquenne programmatrice di software della California, con un piccolo pearcing al naso e lunghi capelli castani, è d’accordo. Lei capisce il motivo per cui le donne trans sono ferite dalla loro esclusione dal Michfest e da altri eventi e servizi per sole donne, e dice: “Non vogliono invadere lo spazio di altre. Si tratta solo di una profonda voglia di appartenenza “. Ma, aggiunge, “se si identificano con le donne, dovrebbero anche essere in grado di empatizzare con le donne, no?”

Sandy Stone condivide questo punto di vista, fino a un certo punto. Della posizione delle femministe radicali “, dice,” E’ mia convinzione personale, dopo aver parlato a lungo con queste persone, che esse siano state vittime di gravi traumi per mano di un uomo, o di più uomini. “E aggiunge: “Dobbiamo rispettarle. Questa è la loro esperienza del mondo. “Ma il dolore delle femministe radicali, insiste, non può essere il trampolino di lotta per i diritti trans. “Se fossimo in un mondo perfetto, avremmo trovato il modo di guarirci reciprocamente”, dice. Ma, se il mondo è così com’è, “Io dico, la nostra posizione è quella di restare fuori dagli spazi di transizione transgender.”

MICHELLE GOLDBERG

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2 pensieri su “Cos’è la donna? La disputa tra femminismo radicale e transgenderismo!”

  1. Ho riflettuto un po’ su questa pagina.
    I movimenti radicali estremamente connotati ideologicamente (che in questi tempi di stupidame gregario politicamente corretto e di sciapi moderatismi a me piacciono non poco) hanno pero’ la caratterizzazione di cadere assai spesso nella faziosita’ e nell’essere settari.
    Quando il radicalismo e’ antagonista invece che assertivo, si viene portati a spasso dal proprio antagonismo e si arriva a chiudere il cerchio diventando cio’ che si combatte. Se non e’ una fase transitoria di lotta, diventa un problema.

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