Antiautoritarismo, Autodeterminazione, Critica femminista, Precarietà, R-Esistenze, Violenza

Shaimaa e le altre: nessuna manifestazione contro la violenza di Stato?

Shaimaa Al-Sabagh con il marito che tenta di soccorrerla. Morirà poco dopo.
Shaimaa Al-Sabagh con il marito che tenta di soccorrerla. Morirà poco dopo.

Sono donne che non si rassegnano, combattono, nelle piazze di tutto il mondo. Non le trovi in appuntamenti connotati da mitezza filo/istituzionale. Le trovi invece con il pugno alzato, a tirare pietre per difendersi dalle legnate dei tutori, a fare da scudo, utilizzando il corpo, per impedire che altri si approprino di tutte le libertà. Le donne che scendono in piazza, di volta in volta, imparano a guardare in faccia il proprio nemico. Difficile spiegare il disorientamento che si prova quando ti accorgi che i tutori che dicono di difendere i cittadini invece sono lì a difendere i poteri dalle persone dissenzienti come te. Sono la barriera che impone censure ai tuoi passi avanti. Sono quelli che un giorno ti fanno credere che ti proteggeranno, usando la violenza sulle donne come propaganda affinché si stabilisca una loro legittimata utilità, e il giorno dopo il marketing istituzionale scivola via. Ti picchiano in testa e per lasciare salda l’immagine buona che divulgano di se’ dicono che tu sei la persona cattiva, la terrorista, la violenta.

Shaimaa Al-Sabagh è morta in Egitto durante una manifestazione pacifica in ricordo delle persone massacrate a Tahrir. Nelle lotte di quel territorio le donne sono state protagoniste, almeno in un primo tempo, anche se poi, come altre hanno scritto, della proposta delle donne per la realizzazione di nuove forme di governi o società non è fregato a nessuno. Eppure quelle donne sono sempre lì, come sono sempre state presenti in altre lotte in difesa di territori e ideali.

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Penso alle donne kurde che hanno combattuto per liberare Kobane, a quelle turche che sono state protagoniste delle lotte in Piazza Taksim, alle vilipese donne palestinesi che da sempre si oppongono all’occupazione israeliana, alle donne della nostra resistenza antifascista, a quelle che prendono legnate in spagna, per il diritto all’aborto, o in italia, per liberare la Val Susa dai cantieri della Tav, in molte altre parti del mondo per sostenere il diritto di tutte le persone che perdono lavoro, dignità, possibilità di autodeterminarsi ed essere viste come soggetti.

La vera questione è che delle donne ai governi interessa soltanto quando devono usarle per fare pinkwashing, per sfruttarle come elementi legittimanti di politiche di merda. Le donne servono a giustificare guerre, repressione, autoritarismi, restrizioni di libertà, imposizioni autoritarie. Quando le donne si oppongono ai governi, dissentono, vanno in piazza, a testa alta, all’estero come in Italia, che si tratti della lotta contro dittature o contro il capitalismo che mette in ginocchio chiunque, allora quelle donne diventano nemiche dello Stato e vengono brutalmente picchiate, a volte uccise.

La violenza di Stato è l’unica forma di violenza, contro le donne e le persone tutte, che non rientra nell’indagine e nelle premesse utili a programmare lotte antiviolenza. Lo Stato, le polizie, le istituzioni sono alleate di quelle che intendono sfruttare e sollecitare il paternalismo di governo per imporre agli uomini uno schema di protezione orrendo, inutile e patriarcale. Le alleanze sono anzi utili a legittimare la repressione che i tutori realizzeranno in altri campi per i quali la voce “fastidiosa” delle donne diventa superflua ed è per questo che viene messa a tacere.

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Quando le donne vengono uccise in situazioni “private” che lo Stato cita volentieri per ergersi a patriarca, protettore, e dimostrare l’utilità dei costi delle polizie, allora ecco che vediamo sfilare bare in continuazione. Se le donne vengono uccise, picchiate, dai governi, non c’è alcuna sfilata. Non c’è un Je Suis Shaimaa, non esiste impegno a fare campagna antiautoritaria. Praticano, anzi, con la collaborazione di altre donne “moderate”, un atroce victim blaming, è colpa nostra, siamo violente, terroriste, bla bla bla, è colpa di quelle che in piazza pigliano legnate, perché non siamo state abbastanza brave, e se invece lo fossimo state il padre padrone istituzionale non ci avrebbe trattate male, no? Perciò quelle altre che stringono alleanze con le istituzioni diventano complici, di colpo, omertose, come si fa nei sistemi familiari in cui si protegge il padre padrone, quello che ogni tanto ti picchia, perché comunque dovrebbe proteggerti dal mondo esterno e ti mantiene. Non conta il fatto che non fa nulla per renderti indipendente, non si assicura che tu possa camminare con le tue gambe o che tu riconosca la violenza a prescindere da chi la compie, includendo quello che egli stesso pratica. Non conta tutto ciò. Quel tutore va mantenuto in vita, sempre e comunque.

E’ questo il rapporto che alcune donne, anche femministe, hanno con l’autorità istituzionale. E’ uno scambio di reciproca utilità, tra madri e padri che insistono nel tenere insieme i pezzi di una unione in cui comunque delle libertà sono sacrificate. Questo è quello che si vede ogni volta che le donne chiedono altre leggi, più pene, più punizioni, più protezione, più galera, invece che più strumenti per liberarsi da sole: educazione, cultura, reddito, casa.

Le donne che nel mondo combattono non sanno, forse, che uno dei loro peggiori nemici è rappresentato proprio da questo patto in cui chi le picchia o uccide nelle piazze è la stessa merda istituzionale alla quale si chiede protezione dai mariti o fidanzati violenti. Quando vedremo un ballo, una iniziativa, contro la violenza di Stato? Chissà.

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