Antiautoritarismo, Autodeterminazione, Critica femminista, Personale/Politico, R-Esistenze

Cyber-donna si diventa

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La questione fila, non ti sembra? Dice la paziente accanto a me che prova a spiegarmi come sia normale accettare di correggere problemi di salute con interventi e integrazioni fisiche. Un pezzo qui e un altro là, perché ormai non siamo più corpi al “naturale” ma, come diceva Donna Haraway, siamo cybercorpi sui quali prima o poi sarà posto un timbro di copyright. Si dilunga molto, la Haraway, sulla questione dei brevetti dei quali sembra non importare nulla a nessuno. I farmaci sono brevettati e se tu puoi produrlo a prezzo inferiore in un altro luogo non puoi farlo, anche se si tratta di un farmaco salvavita. C’è una guerra senza fine attorno al fatto che le industrie si aggiudicano l’esclusiva di quel che a te serve per campare, di modo che, poi, tu sarai costretta a pagare un prezzo preciso. E se ti serve un bypass, qualunque cosa ti renda una cyberuomo o una cyberdonna, fatto di carne e macchina, quel pezzo è brevettato, lo vende una sola industria e immaginate questo cosa voglia dire per chi deve pagare, che siano enti pubblici o persone.

Allora la paziente mi ricorda queste cose in modo semplice. In realtà parla d’altro e nella mia mente trovo risorse intellettuali per chiamare le cose con altre parole. Ripenso a quel che mi ha dato il femminismo in tanti anni, quante batoste, soprattutto dal punto di vista umano, quante delusioni e quanti strumenti che mi sono stati utili per andare oltre, per guardare più lontano. Ed è strano che poi vi siano femministe, alcune, che mi impongano di non usare quegli stessi strumenti per volare alto, sempre di più.

Come potrei trovare un senso alla mia maturità, la precarietà del mio fisico, altrimenti? Come potrei trovare l’orgoglio di essere quel che sono, fatta di umili mancanze e orgogliose presenze. Chiudo gli occhi, mentre il farmaco scorre nelle mie vene, e trovo nella mente i volti di queste, tante, donne, che in un modo o nell’altro, emergono dal passato e dai miei saperi e mi regalano una danza fatta di parole e di senso. Si, tutto questo ha senso.

Vedo le parole di queste donne scritte sul mio corpo. Sono donne che posso considerare amiche, anche se hanno cento, duecento, mille anni, e non potrò avere mai l’onore di abbracciarle e ricordarmi, assieme a loro, di essere parte di un tutto. Sono le mie compagne, assieme a tantissimi compagni di intelletto, che non mi lasceranno mai sola, ed è questa la cosa che mi piacerebbe far capire a chi ha meno anni di me. L’espressione di chi condivide pezzi di esperienza e umanità non sono mai imposizioni. Tu prendi quello che ti serve e fallo tuo, cambialo, stravolgilo, personalizzalo, perché nel femminismo non c’è nulla di statico e dogmatico.

Quanta laicità ho trovato nelle parole lette che mi hanno restituito speranza quando pensavo che di speranza di cambiamento non ce n’era. Invece se leggete sermoni di persone che vogliono cambiarvi, che non vi fanno sentire a vostro agio, che vi negano la libertà delle vostre scelte, sappiate che quella cosa lì, non c’entra con il femminismo di cui parlo io. Quello che mi fa compagnia è lo stesso sapere che mi permette di non essere una vittima, di rivendicare con orgoglio e passione ogni mia scelta e di non guardare al passato e anche alle esperienze negative con rancore, odio, che cancellerebbe la mia vita, il mio senso dell’ironia, il mio sguardo sul futuro, la mia indole visionaria che mi permette di guardare lontano, mettendo assieme pezzi che per altr* sono solo frammenti senza significato.

Non fosse per le intuizioni di cui ho letto mi sentirei davvero sola, persa tra mediocri citazioni e accademiche, grigie, interpretazioni. Mi sentirei come davanti un muro che non viene giù neanche se lo prendo a testate. Invece il femminismo di cui parlo è una strada aperta, perché altre prima di me, e io con loro, hanno scavato, lottato, hanno puntellato gallerie profonde entro le quali puoi raggiungere i tuoi obiettivi. Dicono che le donne non sanno edificare, scavare, fare lavori pesanti. Ma non è pesante il lavoro svolto finora? Non è “edificare”, costruire, creare, quel che è stato fatto?

Io non avrei trovato le parole, non avrei neanche conosciuto tanti sorrisi, tanti dubbi, i pensieri pesanti, l’intimità di donne e persone che quando raccontavano la loro esperienza mi hanno aperto un mondo, lo hanno reso un po’ più mio. E come odio il fatto che ci sia chi usa il femminismo per chiudere porte invece che aprirle, per segnare censure, limitazioni, inibizioni, a quelle che hanno voglia di autodeterminarsi a modo proprio. Come odio le matrone che inducono sensi di colpa e senza curarsi della enorme mole di conoscenza che abbiamo il dovere di lasciare ad altre in eredità, fanno diventare il femminismo una religione gretta, statica e ottusa, fatta di comandamenti, imposizioni, e atteggiamento inquisitorio.

Penso alle compagne che mi porto in testa e mi consola il fatto che sono esistite e che non hanno niente a che fare con quello di cui parlo. C’è la paziente che insiste nel dirmi che non tutte nasciamo perfette e che ci sono due tipi di donne: quelle che perfezionano se stesse, attraverso la scienza, per ragioni di salute e quelle che invece lo fanno per vanità. Non riesco a spiegarle come vorrei che questa divisione tra cybercorpi perbene e quelli per male, mi pare come la divisione moralista tra madri e mogli e puttane. Mi chiedo chi le ha messo in testa questa cosa e però penso che alla fine è già un progresso che le donne, le persone, accettino di vedere modificata la loro “natura” biologica per andare incontro alle proprie esigenze. Che importa se lo fanno per campare, per essere madri, per andare oltre i propri limiti, senza rassegnarsi di quel che altrimenti a loro resterebbe. In altri tempi chi accettava di veder modificato il proprio status corporeo sarebbe stato messo al rogo.

Un giorno forse accetterà anche il fatto che ciascuna può voler diventare quel che le piacerà, ché donne si diventa e che puoi voler diventare donna, essendo uomo, o uomo essendo donna, o qualunque altra cosa ti piacerà e non per questo potrai essere stigmatizzat@ in negativo. Io che sono nata in un corpo di donna, intrappolata in una cultura che mi voleva donna solo in un certo modo, infine ho trovato nelle parole delle mie amiche del passato il modo per accettarmi e diventare altro. Non è poca cosa, se ci pensate bene. Sono più io, come quelle altre hanno provato ad avvicinarsi un po’ di più al desiderio che riponevano nel loro futuro. Voler sentire il proprio odore e somigliarsi è una faccenda davvero complessa e importante. Tante donne dovrebbero poter capire quel che vive una trans, ad esempio, perché anche noi siamo in continua trasformazione, lottiamo per diventare quel che ci serve o che desideriamo e incontriamo tanti ostacoli, così come ne incontrano gli uomini che hanno esigenza di non piegare la loro vita ai modelli prevalenti.

Anche per oggi la mia giornata è finita. Immagino di essere stata catapultata in un mondo e un tempo futuro. Cybercorpo che non scinde il personale dal politico. Per alcune è una zavorra, per me è la chiave che mi permette di comprendere gli altri esseri umani dando importanza a ciascuno di loro. Con la mia certezza di essere persona e le mie compagne di viaggio che hanno reso possibile il fatto che io possa essere vista in quanto tale. Persona, senza obblighi di genere, non donna, non uomo. Persona. Cybercorpo.

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1 pensiero su “Cyber-donna si diventa”

  1. io ringrazio te, che in questi anni, seguendoti, leggendoti, ho imparato come volevo e come sono ed anche come vorrò essere, ogni giorno…imperfetta, spesso arrancante, su per la vetta della vita, dove ho incontrato, grazie a te, tante altre donne, che mi hanno accolta e sostenuto
    in momenti bui, dunque grazie Fikasicula.Sono sicura che anche da cyber, non perderai niente del tuo essere meravigliosamente Persona.
    in culo alla balena 🙂

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