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Chi è Stato a uccidere mio padre? (storia di debiti e disperazione)

Senti, ho letto questo, e mi ha fatto male perché io quella situazione la conosco bene. Non riguardava me ma mio padre. Non era un ladro. Era una persona onesta, perbene, e proprio perché onesta, non in grado di truffare nessuno e di rubare, dato che si sforzava di saldare tutti i debiti e perfino quando non ce la faceva più pagava assegni e dipendenti rinunciando a tutto per non mancare alla parola data. Era un uomo semplice, un padre di famiglia. Per lui c’era il lavoro, la fatica di una vita, la famiglia, i figli, io e mio fratello, mia madre, e per lui era un punto d’orgoglio non farci mancare niente.

Quando sono iniziati i guai economici io sono andata a lavorare per mantenermi all’università. Non mi pesava, anzi, mi sentivo utile e mi sembrava di fare qualcosa di buono nel bel mezzo di una situazione che mi lasciava impotente. Assistevo alla disperazione di mio padre, giorno dopo giorno, mentre faceva notte per tentare di fare quadrare i conti. Mia madre che lo confortava. Giusto mio fratello, adolescente, se ne stava per i cazzi suoi, forse non capiva, lo avrebbe comunque fatto dopo, quando c’è caduto un mattone in testa a tutti quanti.

Scopriamo poi che mio padre, per tentare di non perdere la sua attività commerciale, sperando si trattasse di un periodo transitorio, si fece dare un po’ di soldi in prestito dalla banca. Gli concessero uno scoperto ad interessi altissimi e i soldi diminuivano sempre di più. Un cane che si morde la coda. Dovette licenziare i due commessi. Io e mia madre ci davamo i turni per aiutarlo. I fornitori però gli stavano appresso. Una telefonata al giorno per ciascuno e mio padre finì per non rispondere più. Per lui era una questione di onore. Non poteva proprio pensare di essere ridotto in quel modo. Si vergognava tantissimo. All’inizio figurati che non ne parlava neppure con noi.

Nonostante tutto, con la famiglia, me compresa, che gli è rimasta a fianco fino all’ultimo, quando ricevette l’ennesima lettera di minaccia di pignoramento, con la paura che si pigliassero la casa, la bottega, la nostra vita, tutto, si accertò che tra lui e mia madre ci fosse la separazione dei beni, nominò me e mio fratello beneficiari di casa e bottega. Ci fece vendere tutto per pochi soldi, mentre lui veniva protestato e dichiarava fallimento, e con quel poco denaro saldò qualche debito e comprò una corda. Lo abbiamo trovato appeso ad una trave, in magazzino, senza un perché, con il viso contratto, l’espressione triste e un solo pezzo di carta in cui era scritto: chiedo perdono!

Perdono, non si capisce di che. I creditori non hanno comunque smesso di torturarci. Nonostante tutto, fino a poco tempo fa, hanno provato a toglierci la casa. Ora io e mio fratello lavoriamo, mia madre è depressa e dobbiamo averne cura perché è l’unico genitore che ci resta, gli amici si sono volatilizzati, perché quando c’è davvero bisogno di aiuto gli scoccia perfino ascoltati, e viviamo con poco, senza grandi pretese. Per mio padre non c’era ragione di suicidarsi. Ma non avrebbe sopportato di venire meno alla promessa fatta a se stesso. Non avrebbe mai sopportato di essere dipendente dal mio lavoro. O forse si tratta solo del fatto che quelli là lo hanno sfiancato. E quando lui è morto, che cosa gli è rimasto in mano? Zero assoluto. Niente.

Chissà come mai non gli viene in mente che un debitore è meglio vivo, anche se ti dà poco per volta, invece che morto a non restituirti più nulla. Perché se un debitore muore, caro creditore, tu non potrai più avere un cazzo. E dunque ora sono arrabbiata, molto. Perché mio padre è dovuto morire? Uno stronzo è riuscito a dirmi, senza vergogna, che si raccoglie quel che si semina e che bisogna pagare le conseguenze delle proprie azioni. Ma di quali azioni stanno parlando? Cosa ha fatto mio padre di sbagliato se non tentare di tenere in piedi la sua attività per campare la famiglia? Cosa c’entra mio padre con un sistema istituzionale che non ti sostiene e un’economia che ti massacra? Figuriamoci che ora, dopo tanti anni di contributi versati a mia madre non vogliono neppure dare la pensione di reversibilità. Lo Stato ruba. Le banche rubano. E il mio non è populismo, qualunquismo, o qualunque altro aggettivo deresponsabilizzante, che banalizza, vogliate trovare.

Mi sono chiesta spesso, ultimamente, a chi dovrei rivolgermi per chiedere risarcimento della morte di mio padre. Io so che è stato ucciso, ma chi è il colpevole? A chi devo chiedere il conto? Chi è Stato? Potrò mai rassegnarmi al fatto che le cose sarebbero potute andare diversamente? Potrò mai sopire i sensi di colpa per non essermi accorta di nulla quando forse era tempo, per aver continuato a esistere, vivere, studiare, pensando di poter contare su una spalla sicura, vivendo con agio e senza pensieri, tentando di costruire il mio futuro, mentre lui non dormiva la notte per le preoccupazioni? Nessuno risponde ai miei quesiti. A me non resta che piangere, senza fare tardi, mi raccomando, perché domani la sveglia è alle sei e il lavoro inizia presto.

Ps: questa è una storia vera. Grazie a chi mi ha permesso di raccontarvela. Un abbraccio a questa giovane ragazza. E un grande senso di impotenza mi stringe lo stomaco…

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1 pensiero su “Chi è Stato a uccidere mio padre? (storia di debiti e disperazione)”

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