Stavolta è il turno del mondo della moda milanese. Che fanno di bello? Rappresentano un’industria. E cosa fa un’industria? Vuole vendere. Ecco: quello che vedete è il capitale che fagocita i contenuti del brand femminicidio, perché le donne/vittime servono al capitalismo.
Il muro delle bambole, con dichiarazione apocalittica siglata dalle grandi firme della moda (e non solo), restituisce in pieno il senso di quel che già in altre occasioni abbiamo visto.
Ma dato che il mondo della moda espone significati e lotte che includono anche il mio sangue allora ecco due cose da dire a costoro.
– rappresentare le donne, in una campagna antiviolenza, come dolls, manichini e “modelle” in miniatura, con qualche ammaccatura simbolica ed un linguaggio perfettamente in linea con la retorica della donna/vittima soggetto debole e passivo, non fa altro che crearci un danno.
– dal mondo della moda non ci si poteva aspettare di meglio dato che già di per se’ considera le donne dei manichini in carne e ossa utili a sfilare sulle passerelle e rappresentare i vari marchi.
– sarebbe utile discutere del sessismo che da parte del mondo della moda arriva, per esempio: quand’è che hanno fatto sfilare una modella che non fosse anoressica? Quand’è che hanno inviato alle ragazze il messaggio secondo cui non serve spendere un capitale in vestiti per essere donne felici e realizzate? Quand’è che hanno fatto qualcosa per decostruire e sovvertire gli stereotipi sessisti? Quand’è che hanno considerato le ragazze fatte di pensieri, cervello, identità, invece che bambole e corpi tirati a molla per vendere mutande, abiti, accessori?
Si badi bene che non c’è un giudizio di valore per il lavoro delle modelle che ovviamente possono fare quello che vogliono. Sono libere di scegliere come guadagnarsi da vivere e mi piacerebbe perciò discutere delle condizioni di lavoro di tutte quante. Guadagnano bene? E quell* che nel mondo della moda costituiscono la parte più precaria? Quella stessa parte dalla cui lotta di Serpica Naro ha fatto emergere trucchi e controtrucchi di quell’industria per tenersi in vita mantenendo la gente, donne incluse, in stato di precarietà?
Non so. Sono pensieri in libertà. Voi che ne pensate?
Come si diceva, il fashion victim e la passione necrofila non termina mai.
Ps: essere sopravvissute a un tentato femminicidio per poi vedersi rappresentate come bambole appese a una parete per inaugurare la stagione delle sfilate di moda milanesi all’insegna di un non meglio precisato “lottiamo contro il femminicidio”. Bello, eh?
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Sarebbe bello il superamento di qualsiasi classificazione di genere.
Tornare ad essere semplicemente umani, esseri unici, ciascuno con le sue irripetibili sfumature.
Forse certa pubblicità e certe campagne stanno contribuendo.
Ma non nel senso di accrescere la sensibilità dell’opinione pubblica riguardo a certi “temi”, ma prendendola per “stanchezza”.
La pubblicità del ragazzo gay che fa outing con la madre davanti a un cibo precotto, potrà stupire un vecchio settantenne ma non avrà lo stesso effetto su una platea più giovane che troverà l’espediente pubblicitario, banale, scontato, già abbastanza abusato.
Anche per le bambole appese, penso che il senso di ripugnanza per le nuove generazioni sia piuttosto immediato.
I cambiamenti più grossi prendono il via proprio dalla cultura di massa. I questo senso pubblicità e social stanno facendo il proprio lavoro,da un bel pezzo. Che poi certe tematiche vengano sfuttate per vendere, questo inizia a dar fastidio a più persone (soprattutto giovani e smaliziate rispetto a certe questioni) di quanto pensiamo.
Il messaggio passa o è già passato, ma se fossi un pubblicitario oggi, non cercherei di ammantare il mio prodotto di una veste ecologica e politicamente corretta, ma di stupire attraverso altre vie, guardando magari a quel bambino sepolto in ognuno, non ancora genderizzato , ancora profondamente umano, e basta.