I liberatori non erano migliori di quelli dai quali dicono di averci liberati. Questo è quello che ho sempre saputo con chiarezza a partire dai racconti di mia nonna. Ce n’è uno, in particolare, che vorrei condividere con voi. Ricordando che resistenza e autodeterminazione dei popoli è molto meglio che essere liberati e colonizzati e che le/gli individui resistenti, giusto quando resistono, vengono sempre additati come criminali e terroristi. Buona lettura!
>>>^^^<<<
Quando arrivarono gli americani noi eravamo sempre lì a tentare di sopravvivere alla povertà, alla fame, a tutte le disgrazie che ci erano capitate. Zappavo dalla mattina alla sera, mi svegliavo alle 4 del mattino, portavo avanti la casa e i figli e combattevo contro quelli che fingevano di essere dell’esercito per bussare di notte e rubare ogni cosa, contro le camicie nere che pensavano di avere diritto di prendersi tutto, contro quelli che trascinarono in galera prima mio marito e poi suo fratello perché avevano avuto la brutta idea di portare un po’ di grano a mia sorella che stava oltre il confine del paese. Aveva tanti figli, mia sorella, e suo marito era sfuggito alla chiamata alle armi come tanti della sua età. Si davano alla macchia protetti da queste donne deboli ma in carne che si ponevano a barriera per salvare gli uomini, poiché di morti, già con la prima guerra, ne avevano visti abbastanza.
Ero riuscita a sopravvivere a giorni e giorni di migrazione in mare dove perdemmo una sorella, la più piccola di nove figli, prima di arrivare a toccare la costa americana. Lì vivisezionarono le nostre abitudini, la nostra lingua, ci spogliarono nud* per verificare quanto e come fossimo sani. Qualcuno venne rimandato indietro e altri riuscirono ad andare avanti. Erano più propensi ad accettare uomini forti per farli lavorare a basso costo e donne giovani per fornire una fedele servitù alle loro mogli. Niente che non si sia già visto e che non avreste visto in altri tempi e in ogni luogo. La mia famiglia non superò l’esame perché dissero che eravamo troppo stupidi, troppi figli, troppo anziano mio padre, allora quarantenne, e troppo piena di cose da fare mia madre. Perciò ci imbarcarono per il ritorno e ricordo solo che durante una sosta scendemmo e poi ci ritrovammo in Brasile, a Rio de Janeiro. Ho vissuto lì per tanti anni prima di tornare indietro per guardare ancora negli occhi la terra dalla quale, nei primi anni del ‘900, eravamo fuggiti.
Le mie sorelle, tranne una che era completamente cieca per via di una malattia curata male, si sposarono tutte. I miei fratelli furono chiamati in guerra e ancora in famiglia ci consoliamo dicendo che sono semplicemente “dispersi” in Russia o chissà dove. Della Sicilia conosco il sapore delle zolle di terra, quella durezza, la sete, il sole e la distanza dalle coste che dobbiamo percorrere a piedi. Sposata ebbi la possibilità di possedere un mulo, una ricchezza per quei tempi che non si poteva barattare con niente e con nessuno. Poi lo presero i soldati che venivano a donarci vita e futuro, secondo la propaganda del partito, dopo averci tolto le fedi e averci derubati di ogni cosa. I figli crebbero tra una guerra e l’altra e videro disparità sociali, ruoli imposti, tanta tristezza e privazione. La mia bambina diventò presto una piccola donna di casa e i miei due figli speravo non li prendessero per farne assassini di innocenti.
Dietro la porta della casetta di campagna tenevo un bastone e poi il padrone del terreno nel quale lavoravamo ci fece dono di un fucile da usare contro i “banditi”. Quei banditi erano i latitanti, ricercati perché sfuggiti alla leva e di tutti avevo paura meno che di quella gente. Rispettosi in realtà, sempre a togliersi il berretto davanti a Donna Marianna, prendevano qualche frutto e poi giocavano con i miei figli insegnandogli a fuggire meglio per le stradine di campagna ed i terreni nel caso in cui fosse capitato qualcosa. Poi dissero che sarebbero arrivati a “liberarci”, liberare noi che stavamo combattendo da soli e potevamo vincere anche una battaglia di uguaglianza con i proprietari terrieri e con chiunque ci privasse anche dell’aria utile a respirare.
Di “liberazioni”, d’altro canto, la nostra terra ne aveva viste tante. Non c’era pietra dell’isola che non ricordasse le stragi compiute da quei fottutissimi liberatori dei Savoia. Mandarono Garibaldi e il suo amico stragista Bixio a sedare le rivolte contadine e dopo aver stretto un patto con i ricchi infine dissero che i poveri erano terroristi, briganti che volevano impedire l’unità. L’unità dei ricchi. Ogni liberatore arrivato in terra nostra costruiva palazzi, ci derubava di risorse, cancellava la cultura precedente dichiarandola fuorilegge e così noi ricominciavamo il cammino. Questa è la storia che le tante generazioni della mia famiglia mi hanno tramandato e che non posso mai dimenticare. Perciò guardo con sospetto ogni liberatore, anche se parla una lingua affascinante e rappresenta la terra che ci ha trattato da immondizia e ci ha cacciati via.
Gli americani arrivarono lungo le coste sud dell’isola, dove noi abitavamo, quando già la nostra piccola resistenza li aveva scoraggiati dal restare. Vennero a piantare le tende e a prendersi un po’ di gloria sulla nostra pelle. A casa mia ne arrivarono due, di quei liberatori, uno dei quali giocò con le trecce di mia figlia e l’altro prese tutto quello che c’era nella dispensa. Il più alto tra loro non so neppure se fosse americano veramente. Parlava un’altra lingua ma non so da dove venisse. Quello che so è che mi mise le mani addosso e dovetti bastonarlo così lui corse via assieme al suo compare. Rimasi tutta la notte in piedi con il fucile in braccio pensando che tornassero con altri compagni. Furono i “banditi” a stazionare attorno alla mia casa per avvisarmi di altri pericoli e alcune vicine di campo arrivarono all’alba del giorno seguente per chiedere se andasse tutto bene. Pare che i due avessero fatto razzia presso altre abitazioni e in un caso avevano picchiato un vecchio e molestato sua figlia.
Altro non so dei liberatori perché per noi tutto continuò come prima, salvo il fatto che dopo un po’ di tempo mio marito uscì di galera e due braccia in più per vincere la fame fanno sempre bene. Mandammo i figli a scuola, con grandi sacrifici, e mentre loro crescevano cresceva anche lo strapotere dei feudatari comunque sempre in prima fila ad allearsi con i nuovi arrivati. Poveri eravamo e poveri siamo rimasti. E mentre i ricchi si arricchivano e noi eravamo sorvegliati a vista per il timore che altre rivolte contadine potessero rinascere guardavamo il nostro mondo trasformarsi. Eravamo ufficialmente diventati una colonia americana. Portavano con se’ i nostri soldi, le ricchezze, la nostra terra e i nostri latitanti di mafia, e questa era la cosa che pativamo meno. Furono complici di mafiosi e feudatari. Complici di quelli che opprimevano le nostre vite. Complici di chi poi svendette superfici enormi per regalarli a loro che fecero diventare la Sicilia una piattaforma militare utile alla loro sporca guerra “fredda”.
Quello che so è che non ci hanno affatto liberati e che l’unica liberazione utile per le nazioni e i territori è quella che deriva da propri bisogni e dalla propria capacità di autogovernarsi. Perciò io ricordo il 25 aprile come la data in cui si celebra il sogno di tante persone resistenti. Un sogno tradito da chi poi non ha visto affatto realizzarsi i tanti progetti fatti per il futuro. Finito un oppressore ne arrivò semplicemente un altro, ciascuno aveva il proprio egoistico disegno e a nessuno di loro interessava il nostro parere. Eravamo diventati la colonia di chi ci rivendeva merce, cancellava la nostra cultura, si appropriava di quello che avremmo dovuto gestire noi. Il 25 aprile mi ricorda tutto questo. Perché è utile conservare memoria ed è utile raccontare la storia non con le parole dei vincenti ma anche con quelle di chi, comunque, è stato sconfitto.
Buon 25 aprile a tutt*!
Ps: mia nonna non c’è più da un po’ di anni e io la ringrazio per i suoi racconti, oltre che per i suoi abbracci. Un bacio, nonna, e buon 25 aprile anche a te!
1 pensiero su “25 aprile e Liberazione visti da mia nonna”