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Storie di schiavitù del badantaggio: la figlia “zitella”!

Raccogliendo il mio appello a raccontare e raccontarsi sulle tante forme di schiavitù del badantaggio mi scrive Simona. Proverò a rendere la sua mail (lunga) un po’ più scorrevole perciò la riscrivo e la sintetizzo. Simona sostanzialmente dice:

Col cazzo che io mi prendo tutte le responsabilità in sostituzione di fratelli e sorelle perché sono l’unica a non essere sposata. Ho due fratelli e una sorella. Fratelli a fare le proprie cose e una sorella sposata e con bambini. Dato che non sono sposata devo sorbirmi non solo gli sguardi di compatimento perché c’è chi mi considera sfortunata. Sfigata perché non avrei trovato uno che mi si pigliava. Sfigata perché non ho un figlio. Sfigata in generale perché per compensare queste mancanze se non prendi almeno un Nobel praticamente puoi suicidarti il giorno dopo. Dunque c’è tutta la famiglia prodiga che per “aiutarmi” a stare meglio con me stessa mi dona le gioie dell’essere madre, figlia, moglie, sorella, badante, babysitter ogni volta che gli gira.

Che belli ‘sti nipoti, ma se non mi sono sposata e non ho fatto figli forse una ragione c’è. Che bello essere figlia, ma sono anche adulta e l’unico modo per emanciparmi dal ruolo di figlia non può essere affatto quello di sposarmi. Bello essere unita alla parentela tutta ma qui mi fottono la vita e ancora, a 38 anni, non sono riuscita a ricavarmi una parentesi di libertà dedicando un vibrante sfanculamento a chiunque. Zitella, sfortunella, nullipara e pure precaria nonostante anni di studio e di lavoro. Dunque disponibile ad assumere incarichi di ogni genere come se non avessi altro da fare nella vita. Come se la qualità stessa della mia vita non fosse fondamentale perché ogni incarico ricevuto dovrei intenderlo come un regalo per farmi sentire utile in questa perfida società.

Ho cominciato a valutare l’ipotesi di andare a vivere con altre persone, precarie come me, e a casa mia le resistenze sono tante. A parte la totale indisponibilità ad aiutarmi, io che praticamente aiuto tutti, affinché io mi renda indipendente, mi chiedo se poi non facciano di tutto per impedirmi di realizzare questo mio progetto. Musi lunghi, atteggiamenti che mi impongono gravi sensi di colpa, un embargo economico di non poco conto, del tipo che se mi dai dieci euro a contributo mentre sto a casa e ti chiedo di prestarmeli mentre mi affatico a mantenermi altrove non è affatto uguale. Se voglio un contributo bisogna che io stia qui a farmi sfruttare, sempre a disposizione, in questa modalità che mi toglie il respiro e non mi lascia altra chance. Perciò se voglio andare comunque non posso contare su nessuno. Solo su me stessa.

Eppure non ho fratelli e sorella poco intelligenti e non possono ignorare il fatto che qui mi manca la possibilità di gestire la mia vita, il mio spazio, perfino una scopata diventa complicata e devo farla in casa d’altri. Io voglio poter stare anche solo un giorno senza dover essere coinvolta nelle dinamiche familiari e senza che nessuno dia per scontato che io sono sempre qui a fare la schiava per chiunque. Dicono che questo sia famiglia e io di questa famiglia faccio parte. Ma la famiglia dovrebbe anche dare sostegno a chi vuole progettare la propria vita in modo indipendente e a me perciò sembrano tutte balle per tenermi qui a restare nella disponibilità di chiunque. Allora, dato che in questa nazione ingrata non è dato ottenere alcun reddito minimo, ho deciso di valutare in termini monetari il valore del mio lavoro: se vogliono il mio aiuto mi pagassero e sennò ciao. Non preoccupatevi, ovviamente valuto una cifra decurtando vitto e alloggio e quel che mi viene garantito, e poi chiederò compenso per il tempo che mi viene sottratto che io potrei dedicare ad altro. Questa potrebbe essere una provocazione, sapendo che porta anche alla rottura perché dubito di ottenere comprensione.

Ed è così talvolta che le vite scorrono, zitella sei e resti in quella trappola di genere a vita, invecchi e il massimo che ti rimane è poter contare sull’aiuto di fratelli e sorelle che ti faranno il “favore” di regalarti un po’ di tempo a badare ai loro figli. Dunque ho deciso: per non rischiare di fare quella fine tra un po’ ricomincio a fare la cameriera per la stagione estiva. Prendo i soldi e poi parto. Vado lontano che più lontano non si può. Per ora è questa la mia scelta di ribellione perché dalle mie parti certe volte è o così o niente. Allora meglio niente. Per avere qualcosa. Per me.

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2 pensieri su “Storie di schiavitù del badantaggio: la figlia “zitella”!”

  1. mia madre, nata e cresciuta al sud, diceva che una volta era normale scegliere una delle figlie (che tanto figli ne avevano minimo 5 a famiglia) e fare in modo che rimanesse “zitella”. era facile, bastava non comprarle vestiti belli, farle il lavaggio del cervello, impedirle una vita sociale (gite scolastiche, uscite, feste proibiti), ed ecco che così si erano guadagnati “il bastone della loro vecchiaia”. e le povere donne erano vittima di un’educazione così oppressiva dal primo giorno della loro vita che ritenevano tutto ciò normale. oggi forse non lo si fa così esplicitamente ma accade lo stesso. però penso che la cosa migliore in questi casi è andarsene lontano. e vi assicuro che vivere lontani dalla propria famiglia di origine è una boccata d’aria non solo per chi non ha famiglia ma anche per chi la ha e quindi rinuncia così all’aiuto “gratuito” dei nonni. non è facile, si convive con preoccupazioni e sensi di colpa, ma è la nostra vita e l’indipendenza è la cosa più importante.

  2. Che posso dire. Da Cameriera, non posso che approvare, visto che una delle tante motivazioni del mio andare lontana è stata anche quella dello sradicarmi da un ruolo che non sentivo mio all’interno del mio ambiente. Ognuno ha diritto di rendere la propria vita speciale, ne abbiamo una sola, dobbiamo a noi stesse il diritto di viverla al meglio.

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