Malafemmina

Quanto mi fanno male le donne a cosce chiuse!

Sapete che nei quotidiani si parla di donne, spesso, e il modo in cui se ne parla tende a schiacciare, a uniformare le opinioni e tutto sembra, ancora, l’ennesima strategia per battere su un chiodo che scatenerà misoginie diffuse e che sarà il pretesto per dare ai quotidiani online più click di femmine indignate, più click di quelle che vogliono leggere com’è bello crescere figlie che restino a cosce strette, alle donne di partito più motivi per fare un documento in cui si dirà che le donne devono scendere in piazza contro le puttane che non solo sono puttane ma se ne vantano pure. E che cazzo!

Mica si può essere puttane e vantarsene. Devi restare affranta, coprirti di un velo nero se decidi di apparire in pubblico, prostrarti di fronte all’inquisizione cattolica e poi prepararti al rogo perché il linciaggio è pronto e tu sei figlia di Eva e devi pagare.

A volte basta che venga fuori il nome di una prostituta, il mondo le dà addosso, a me viene naturale difenderla e si è scatena un putiferio.

Ma come, tu, oh Malafemmina, difendi quella puttana lì? E io mi sento lievemente in imbarazzo ché sono soltanto una Malafemmina che vende braccia, corpo e testa a chi mi dà un lavoro.

Sono precaria, come tante precarie e precari e penso che le fellatio possono essere di molti tipi e dirvi che non ne ho praticate sarebbe una bugia.

Non allargo le cosce al datore di lavoro che me lo chiede ma non giudico male quella che lo fa. Lui, piuttosto, mi sembra uno stronzo sfruttatore, uno che non paga mai, perché il sistema è fatto per proteggerlo e quando qualcuno scopre ciò che fa il sistema connivente sposta la discussione sulla donna che ha allargato le cosce perché sia lapidata, pubblicamente, con mille se e mille ma.

Si fanno dei distinguo tra quelle che allargano le cosce per bisogno e quelle che le allargano per comprarsi la borsetta. Tra quelle che si prostituiscono per strada e quelle che invece lo fanno al caldo. Che di questi tempi averci il riscaldamento mentre la dai via è un lusso. Devi soffrire, devi farci vedere quanto sei dispiaciuta mentre ti vendi, altrimenti poi non possiamo redimerti, non possiamo chiamare il prete tal dei tali per fargli compiere il recupero della puttana e per darti l’opportunità di pentirti e diventare una santa donna.

Chè di queste regole anni ’50 sono sicura ne avrete sentite moltissime, allora non va bene dire che siamo tutti prostituti, che non c’è differenza tra le braccia che io vendo per pulire i cessi al bar e il culo che una puttana vende per guadagnarsi quello che vuole.

Non sto qui a sindacare su quello di cui le donne hanno bisogno, non mi interessa. Per me è importante un libro e per qualcuna la borsetta. Cambia qualcosa? La mia scelta riassume un valore più ampio? Sono io forse più precaria e meritevole di stima di chiunque altra?

Poi, neanche a dirlo, la conosco tutta la storia dell’essere deluse perché tutto ci mortifica dopo anni di studio in cui abbiamo fatto qualunque cosa per tirarci fuori dalla precarietà mentre stiamo ancora qui a dipendere da genitori, partner, datori di lavoro perfidi e sessisti, che in un modo o nell’altro il culo finiscono per toccartelo lo stesso e ti sporcano l’anima e ti massacrano l’autostima e ti dicono che se non ce la fai è per colpa tua e in termini psicologici ti fanno di peggio rispetto a quello che potrebbero farti se si limitassero soltanto a pretendere una prestazione sessuale.

Non mi interessa parlare di puttane perché voglio parlare dei magnaccia, di quelli che campano sulla pelle delle donne, che le usano come merce di scambio e che ci chiedono sempre la “bella presenza” anche per pulire il vomito degli ubriachi al bar, perché per pulire il vomito devi chinarti e se non dai sollazzo all’ubriaco mostrandogli un bel culo non sei una dipendente che può occupare quel ruolo.

Vivo da sempre tra donne e uomini che la danno via, qualunque cosa sia, se c’è una differenza tra i pezzi di corpo che si possono dare via e per me non c’è, qualunque cosa per un lavoro e ho con queste persone un legame autentico, privo di moralismi, in cui non ci si guarda mai per ritrovare esempi di santità ché sappiamo bene non voler neppure possedere.

Io non sono moglie, madre, santa, e se mi impongono una scelta sto con le puttane. Altrimenti sto per cazzi miei e voglio parlare di datori di lavoro che mercificano tutti, uomini e donne, nessuno escluso. Non ho voglia di scendere in piazza contro le puttane. Non ho voglia di dirmi indignata o di ululare in difesa di una “dignità” che secondo alcune, spesso vicine a partiti retti al maschile, sarebbe violata dalle puttane. La mia dignità, semmai, è costantemente violata da chi crea le condizioni affinché tutte/i noi diventiamo ricattabili, mercificabili e questo è il merito della discussione che mi interessa.

Ma se devo parlare di donne diciamo che mi hanno aperto più strade quelle che aprono le cosce che quelle che le tengono strette.

Le donne a cosce aperte mi hanno regalato la libertà di scegliere con chi fare sesso e con chi no. E sottolineo che l’accezione della “puttana” si sposta a seconda dei contesti perché puttana lo sono anch’io e orgogliosa di esserlo, rivendicando la libertà di usare il mio corpo come voglio.

Le donne a cosce strette sono quelle che si sono fatte veicolo della più becera cultura patriarcale, quelle che mi hanno imposto una morale, quelle che dichiarano che io non sono una brava bambina, una donna seria, una femmina da marito, una adeguata a certi ruoli, quelle che decidono che se apro le cosce allora bisogna giochicchiare con i motivi per cui lo faccio, per continuare a tenermi legata, imbrigliata, schiava di contesti che mi allungano le gonne, mi obbligano a indossare burqa e osservano il modo in cui parlo obbligandomi a non tradire la categoria.

Ché io non rappresento categoria alcuna e non mi importa delle vecchie suocere, delle matrone che stanno chiuse dietro i vetri delle case a spiare i movimenti della figlia della vicina per poi riferire e dire ad altre quanto invece è tanto meglio la loro figlia che studia, va a casa e poi c’ha il fidanzato che non la sfiora neppure con un dito.

Le conosco le donne che non aprono le cosce e sono quelle che mi fanno malissimo perché me le trovo nemiche sempre, ogni volta che parlo di me, di masturbazione, di piacere sessuale, di maternità responsabile, di pillola del giorno dopo, di spogliarmi perché mi piace essere io, me, corpo, anima, vita, sangue, pelle, odore, piacere, e di tutto ciò voglio godere.

Lo faccio gratis perché è la mia scelta ma quelle che mi vorrebbero nemica delle puttane chiamano me puttana perché disconoscono le differenze e sanno dividere il mondo soltanto in sante e puttane, donne per bene e donne per male, e mi impongono restrizioni e divisioni tra quelle che mi somigliano per irregimentarmi in uno schema che dovrebbe farmi vedere le fasciste come sorelle, giusto quelle che sorelle non sono e che se io nella mia vita vado a ruota libera mi dicono che devo procedere in fila, per due, possibilmente etero, possibilmente con progetti che coincidono ai loro, ché altrimenti saltano tutte le certezze.

Quelle che trovo a fare obiezione di coscienza sono femmine che non vogliono darmi la pillola del giorno dopo. Quelle che parlano per giudicare altre donne sono persone che reiterano una cultura patriarcale facendosi strumento di misoginia e proteggendo lui, il grande assente, colui che crea un sistema e lo impone, con affiliati e affiliate, che a stipendi più o meno alti, fanno il loro tornaconto e procedono per la via tracciata. Ma quelle, certo, non le chiamiamo puttane, perché indossano un cilicio o perché mentre impongono un welfare che parla di conciliazione e maternità obbligatoria si sentono tanto più moralmente superiori di quelle altre che a me non impongono niente.

Sono precaria, mi faccio un culo così per sopravvivere e tentare di mantenere un minimo di indipendenza, lavoro spesso con altre donne di bell’aspetto che lo vendono – quell’aspetto – per guadagnare e io stessa so che se non avessi avuto una immagine “gradevole” non sarei neppure qui, in questo misero villaggio vacanze.

Preferisco stare con queste donne che all’occorrenza mi prestano dall’assorbente al numero del legale per reagire a una molestia, invece che a quelle che restano trincerate nel mondo dell’ipocrisia e si fanno scudo di me, che prima di passarmi il numero di un legale mi processano perché dicono che avevo una gonna troppo corta e dunque dovevo io evitare la molestia, me che non voglio essere strumentalizzata da nessuno, neppure delle donne che si dicono indignate e che poi nelle conversazioni di corridoio chiamano puttane tutte le altre.

Io ho un ombrello rosso piantato sulla schiena, sono una puttana e vendo quello che comprano perché il mercato del lavoro in questo schifoso paese è questo. Datemi un modo diverso per guadagnare o smettetela di strumentalizzare le mie lotte o di mandarmi in piazza militari con i manganelli quando faccio la rivoluzione, o di chiamarmi “violenta” chiedendomi di diventare un numero funzionale al sindacato tal dei tali, o di normalizzarmi a vostro uso e consumo, o di criminalizzare le mie pratiche di lotta, e smetterò di vendermi perché allora e solo allora sarò un soggetto attivo che potrà contribuire a cambiare lo stato delle cose. Ma se tutto quello che mi chiede questo stato, il governo, i politici e le politiche “moralmente” a cosce strette, chiunque occupi una posizione di potere, è di dare il culo e zitta, che se parlo troppo sono botte, sono guai, sono censure, sono embarghi economici, sono insulti, sono disprezzo, sono repressione, sono invisibilità e tutto quello che sapete a me non resta che vendermi. Ché vendermi al sindacato o al partito, al datore di lavoro di merda o a chiunque altro non fa differenza.

La rivoluzione è fatta di piccole cose. Una tra queste è individuare i nemici giusti e io i miei nemici, quelli che mi impediscono di essere persona, autonoma, li conosco tutti.

Perché se hai deciso invece che il tuo nemico è una puttana allora il tuo nemico sono io o forse, diciamolo, sei proprio tu.

NB: Malafemmina, diario di una precaria qualunque, è un personaggio di pura invenzione e un progetto di comunicazione politica. Ogni riferimento a fatti, cose e persone è puramente casuale. 

4 pensieri su “Quanto mi fanno male le donne a cosce chiuse!”

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