C’è che la stagione è quasi al termine e io ho resistito fino all’ultimo e questi dieci giorni che mi separano dalla scadenza del contratto mi pesano moltissimo, perché non c’è più curiosità, non ci sono più quasi neppure i villeggianti e quelli che vedo sono dei mangiacrauti nordeuropei che ingurgitano cose atroci a colazione e mettono il ketchup sulla pasta.
L’umido entra nelle ossa e il mio alloggio/loculo comincia a mostrare le prime tracce di muffa, che poi sono quelle che sul muro si vedono e nei nostri polmoni invece si sentono. Perciò ho cominciato a tossire.
Il boss capoanimatore mi ha fatto notare che non è bello per una animatrice “tossire”, che bisogna mettere la mano davanti alla bocca e allora ogni volta che passo davanti a lui mi scappa una tossetta a bocca larga e gliela sputo addosso, ops scusa, non l’ho fatto apposta, con una faccia da paracula che è diventata ancora più da paracula, perché o fai così o non sopravvivi e i boss che vogliono che nascondi le conseguenze delle condizioni insalubri in cui ci tengono dovrebbero loro mettersi una mano sulla bocca e pure su tutto il resto della faccia perché i polmoni sono miei ma la faccia da culo è la sua.
Direi che allora sono abbastanza stanca, arrivo a malapena, mi trascino fino all’ultimo, mentre smobilitiamo e come accade nelle feste siamo noi a ripulire e sistemare, mettere ordine, per tutto quello che è stato utilizzato e non serve più.
Ho chiesto se posso portare con me i disegni dei bambini, quelli che mi hanno dedicato e che rappresentano il pezzo di storia più bella che io qui abbia mai vissuto. Disegni di fate, re e regine, di stronzi a cavallo che dovrebbero sfoderare spade per difendere l’umanità e che invece, nella realtà, vanno in giro a maganellare i poveri cristi che si ribellano contro le ingiustizie.
Ma questo i bambini non lo sanno, la loro mano è ferma, sicura, mentre disegnano la casa in cui abitano, che rivela mille stati d’animo, con un papà lontano o vicino, un caminetto acceso oppure no, e chissà perché ai bambini si insegna a disegnare un caminetto dato che stiamo tutti stretti in appartamenti piccoli piccoli in cui i caminetti non esistono e non esistono neppure i vialetti e le montagne tutto attorno e i fiumi e i fiori e le aiuole sotto casa.
Quei disegni mi ricordano il tempo bello trascorso qui e se li lasciassi sarebbero buoni per l’immondizia. E’ roba fisica, che la posso toccare e che a distanza di giorni so già che conserverà ancora il loro odore, le impronte di quelle mani piccole e belle, che mi hanno accarezzato e che hanno reso questo lavoro più sopportabile.
Perché i bambini sono così, ti insegnano a resistere e noi adulti gli restituiamo la rassegnazione e la vigliaccheria. E invece no, io gli ho insegnato a resistere con me, ho riso con tutti loro e ho saltato e giocato e inventato e creato e gli ho voluto bene, uno per uno, perché questi bambini e queste bambine sono stati la parte d’umanità migliore che è passata da qui e mi chiedo perché gli adulti non facciano puff e non spariscano per lasciare spazio a questi geni meravigliosi che dove c’è puzza riescono a lasciare sempre un ottimo profumo.
Una mangiacrauti con la pancia chilometrica e una specie di parafulmini attaccato alla vita mi ha detto in un inglese del terzo reich che la piscina ha una scaletta scivolosa. Le ho detto di usare un’ottima colla per aderire ai gradini. Ha riso per mezz’ora. Temo non abbia capito. Così come temo non capiscano quelli che a questo punto mi leggano e intuiscano che ho perso il senso dell’umorismo e che di tanta ironia è rimasto solo il cinismo, il sarcasmo arrabbiato, di chi non ne può più e vuole tornare a casa.
Qualunque cosa ma non questo. Non ci ricasco più. Lo dico sempre e poi mi ricapita. Intanto rivedo da lontano il boss capoanimazione e voglio andare a tossirgli qualcosa.
Cough cough… ma sai mica se ci pagano prima di andare via … cough cough… o devo smontare qualcosa e portarmelo come risarcimento?
NB: Malafemmina, diario di una precaria qualunque, è un personaggio di pura invenzione e un progetto di comunicazione politica. Ogni riferimento a fatti, cose e persone è puramente casuale.