Una sentenza stabilisce che le persone, in questo caso una ex moglie, non possano esigere il mantenimento se convivono con un altr@. La sentenza viene recepita a ragione come un riconoscimento delle coppie di fatto che a quanto pare viene osteggiato giusto da chi vorrebbe continuare a percepire assegni, pensioni, com’è per le persone che in stato di vedovanza per non vedersi segata la pensione, per esempio, si risposano soltanto in Chiesa.
Perché una donna che convive stabilmente con qualcuno debba continuare a fare ricorsi su ricorsi fino ad arrivare alla Cassazione per vedersi spiaccicato in faccia quello che a me pare scontato io non lo so. Di certo vedo in questo una disparità di opportunità. Tu puoi rifarti una vita, se lo vuoi, e lui che è tenuto a garantirti con un mantenimento il tenore di vita precedente alla fine del vostro matrimonio, invece no.
Non può richiedere una diminuzione della cifra da sborsare neppure fornendo prova di ulteriori spese. Una nuova compagna, un affitto da pagare, un altro figlio. E qui si apre davvero un capitolo doloroso, perché nel caso in cui lui stia con un’altra e pensano di fare un altro figlio succede che la ex può puntare i piedi perché comunque gli ricorda che è il figlio di primo letto che conta sopra a tutto. Sicché vedi alcune coppie in cui la nuova compagna viene descritta dalle ex mogli come fosse un palliativo sporco, un inutile accessorio, un passatempo transitorio, ché tanto lui è alla prima moglie e ai figli altrove che deve pensare prioritariamente.
La sensazione di claustrofobia che nelle nuove coppie deriva da queste forzature può essere attenuata se c’è buon senso da una parte e l’altra. Diversamente, se l’ex moglie punta i piedi e stabilisce che la nuova compagna altro non è che l’impedimento al pieno svolgimento del suo piano di riscatto, con richieste varie di risarcimento, ci vedi una prepotenza senza eguali e la frustrazione che da questo ne deriva.
Figli in ostaggio, certe volte, per impedire a lui di rifarsi una vita, con regole che hanno dell’assurdo, cose che ho letto nelle carte (che invito chiunque a leggere prima di pronunciarsi ideologicamente su queste materie), ahimè, all’inizio incredula, non riuscendo a immaginare che possa esistere una donna, per mio limite e per supposta e irrevocabile innocenza femminina, che possa veramente stare lì a chiedere, ad esempio, che lui possa avere diritto di visita con i figli soltanto se quei figli li vede lontano dalla nuova compagna.
Nero su bianco trovi scritto nei documenti, le sentenze, nelle richieste di parte, che quando lui vede il figlio o la figlia, la nuova compagna deve sparire, e se lui vive in casa della nuova compagna: o quest’ultima va in albergo, per lasciare campo libero, oppure è lui che deve spendere per andare altrove. Quanto di tutto ciò abbia senso davvero non lo so. Come non so perché se chiedi che la nuova compagna sparisca quando tu@ figli@ vede il suo papà poi però rivendichi il diritto di calcolare il mantenimento che esigi dal tuo ex tenendo conto anche della dichiarazione dei redditi della sua nuova compagna.
Delle due l’una. O vuoi che lei sparisca e dei suoi soldi non tieni conto o se ne tieni conto, e vuoi dimostrare che grazie a lei lui sarà in grado di sborsare qualche euro in più di mantenimento che dovrà dare a te, allora poi è assurdo che tu chieda che lei sparisca dalla vista di tu@ figli@ quando c’è una visita in programma. Assurdo che tu tenti di impedire la realizzazione della nuova relazione obbligandolo a spostarsi per chilometri o affittando stanze altrove per incontrare lì su@ figli@.
Anche di queste cose è fatta una separazione e io che pur di fare vedere mi@ figli@ a suo padre avrei fatto di tutto, davvero, non posso capire. Non lo posso fare.
La 27esimaora, con la quale ogni tanto sono d’accordo (molto più spesso no 🙂), riguardo la sentenza parla di fine del diritto ad una rendita parassitaria. Io mi limito a ribadire, e parlo di altre situazioni, in cui le madri rivendicano diritti nella misura in cui chiedono risarcimento agli ex per la propria povertà, che la povertà delle madri non la risolvi prendendotela con il tuo ex.
E’ una inutile guerra tra poveri che crea divisioni sociali dove bisognerebbe stare tutti/e uniti/e a chiedere ammortizzatori sociali e soluzioni al mercato del lavoro e allo Stato.
Come posso essere d’accordo con donne che perpetuano la propria condizione di dipendenza post matrimonio e che non sono in grado di realizzare una rivendicazione autodeterminata che parli una lingua lontanissima dalla cultura patriarcale e dalle strategie economico/liberiste?
Giusto in questo periodo in cui si parla di suicidi, dove a suicidarsi sono donne e uomini per disoccupazione e povertà, viene fuori che esigere soldi dove non ce n’è, invece che rivolgere la propria richiesta e lotta sociale in direzioni istituzionali, dà luogo ad azioni di diserzione che io spero tanto nessun@ decida di emulare.
Se tu chiedi al tuo ex un mantenimento che non ti può dare, lo fai condannare per l’art. 57o c.p., lo mandi in galera, gli fai pignorare anche le mutande, se te ne freghi di quello che ti dice, del fatto che racconta le sue difficoltà, se un bel giorno lui poi si suicida, io vorrei capire a chi chiederai conto delle tue necessità. A chi, tu, madre, donna che scinde il materno dall’umano, che dal materno immagini di poter trarre una formula magica per sollevarti da ogni responsabilità sociale, tu che addebiti ogni difficoltà e ogni disagio dovuto alla tua precarietà al tuo ex (che c’entra fino ad un certo punto con le tue scelte, di cui anche tu devi assumerti la responsabilità) a chi, dunque, tu, chiederai poi un risarcimento?
Se la fonte della cifra che pensavi di poter rivendicare si suicida, come mi pare sia successo talvolta, e succede che si suicidano anche le madri in grande difficoltà di cui lo Stato deve farsi carico, senza dubbio, con un reddito minimo che serve a tutti/e, senza separazioni di ruoli e status di privilegio, ma in questo caso vorrei capire se prima di arrivare a quel punto tu puoi essere in grado di elaborare un’altra strategia di lotta, un altro obiettivo, di esigere diritti che vadano oltre l’odio e il rancore nei confronti del tuo ex. Che so, andate ad occupare insieme un edificio pubblico e dividete stanze per stare meglio entrambi. Andate a fare rivolte sociali a garanzia del futuro di tutti, incluso il vostro. Spostate la ribellione contro chi è davvero responsabile e non l’un@ contro l’altr@.
Perché io mi guardo indietro, da donna/madre che ha lavorato tanto e ha combattuto per esistere, e quando io pensavo alla mia precarietà ho sempre pensato un po’ fosse per le mie scelte, percorso di studi, lavoro, aspirazioni, non esattamente semplici. Ho pensato fosse perché sono stata un po’ incosciente, a volte, irresponsabile, altre, che fosse perché di soldi per una attività propria non ce n’è, per quel principio di disuguaglianza che ti sega via le opportunità alla nascita, dove oramai studiare non risolve e non ripara perché comunque sia prima che il merito varrà sempre e solo il tuo lignaggio, pensavo fosse anche responsabilità di un pezzo di potente mondo, ma si, che maledizione da quando sto nel mercato del lavoro esistono solo co.co.co, poi i co.pro, e non ho visto mai un contratto a tempo indeterminato, ma non sono stata lì a piangere vittimismi immaginando che i miei guai dipendessero dal mondo intero, da tutti, incluso l’ex, tranne che da me.
Ho immaginato che tirare su la schiena e combattere potesse essere utile più che fare la guerra garantita contro altre precarietà. Perché o si è liberi tutti o non lo è nessuno, e questo principio vale in pubblico e in privato. Perché perfino quando il mio datore di lavoro, non uno che sfrutta perché vuole arricchirsi, mi deve una mensilità, e io so che se lo obbligo a pagare lui chiude l’attività e licenzia l’altra collega, devo pensarci mille volte prima di fare vertenza, perché il mio diritto garantito non è gratis e io non sono una monade solitaria che oggi prende i soldi e scappa. Perché il disagio altrui si ripercuote anche su di te, perché la precarietà ti rincorre, e invece che lo scarica barile sarebbe utile immaginarsi tutti quanti come parte di comunità circolare in cui esista ancora, accidenti, il principio della solidarietà, della responsabilità collettiva, di cose un po’ meno egoistiche e brutali di quello che succede oggi.
La precarietà se la vuoi un minimo risolvere, se non ti vuoi rifugiare dietro alibi che comunque non ti danno da mangiare, ne a te né alla tua prole, se vuoi affrontarla per davvero, la affronti da adulta, dichiari i tuoi limiti, ti dai della testa di cazzo se sei stata testa di cazzo, ti prendi anche la tua bella dose di responsabilità se hai scelto, perché sei tu che l’hai scelto, di andare a nozze con uno con cui poi non è andata bene, lui prenderà la sua, dopodiché vai avanti e lotti, ricordando che il mondo non finisce adesso e che qualunque cosa tu faccia oggi domani poi ritorna.
Cosa diamine insegni ai tuoi figli se quello che sai fare è piangere e sputare veleno contro il tuo ex dicendo che tutti i vostri guai dipendono da lui, sempre da lui, lo stronzo, la merda, il fetente, comunque tu voglia chiamarlo? Gli insegni che invece che tirare su le maniche e lottare se ne starà lì a piangere miseria senza mai saper combattere.
La stessa cosa dico a quelli che ai figli dicono che tutti i loro guai derivano dall’ex moglie. Le scelte si fanno in due e il punto è che ovunque stia la parte giusta e quella sbagliata, il torto e la ragione, la verità sta sempre un po’ in mezzo. I tribunali solitamente vedono solo nero e bianco perché dividono il mondo in buoni e cattivi, ma nella realtà dei fatti le cose sono molto più complesse di così.
Se sei un padre che può permettersi la macchina di lusso, se puoi andare a fare una vacanza strapagata, se puoi comprare alla tua nuova compagna un appartamento, una pelliccia, e poi non sborsi un centesimo per i tuoi figli, celando le tue risorse al fisco, ai tribunali, a chi ti chiede di assumerti le tue responsabilità, beh, sei solo uno che usa e parla della povertà altrui, quella vera, per non assolvere ai propri compiti. E lì se chiedi in affido i figli per metà settimana e chiedi il mantenimento diretto per poterli mantenere da te, sarebbe la fine delle tue mancanze perché a quel punto non potresti più sfuggire le tue responsabilità.
Ma in generale, dove la precarietà incombe ed è grave, cosa si insegna ai figli? Ti va male il lavoro ed è colpa sua, di lui, di lei. Ti va male la vita ed è colpa sua. Ti va male tutto ed è “colpa” del mondo intero ma tu non lotti, piangi e basta. Tra l’altro mentre piangi e pensi di subire un torto rivendichi il diritto di realizzare tirannie sociali, autoritarismi come compensazione per la ferita che pensi ti sia stata inferta, vuoi vedere rotolare la sua testa al tuo cospetto e in tutto questo i figli assistono a questa porcheria e chiedi loro di parteggiare, fare clan con le tue intenzioni, diventare un ultrà della tua personale tifoseria.
Mi permetto di esprimere una opinione non dall’alto della mia perfezione perché ovviamente in vita mia ho capito tante cose in corso d’opera e ho anche preso della assurde cantonate, come tutti coloro che non hanno difficoltà ad ammettere che ci si possa sbagliare qualche volta, ma oggi sono certa che il mondo fatto di queste dimensioni tanto egocentriche, dove non esiste umanità, non c’è futuro, non c’è prospettiva, dove si vive solo per contare morti dove non c’è qualcun@ che si inchini al tuo passaggio, io so che è un mondo di poveri che si scannano tra loro.
Lo stesso mondo in cui vedi italiani e migranti che si contendono un diritto, donne e uomini che si massacrano, persone che abbandonano ogni minimo buon senso perché odiare è tanto più semplice e che parlarsi, consegnandosi il reciproco disagio, riconoscendo il reciproco dolore, ed è tanto più semplice che capirsi.
Se ci si parla e ci si capisce è doloroso che lei abbia scelto di andarsene e che non ti ami più, è doloroso che lui abbia scelto di stare con un’altra, è doloroso che non ci siano risposte alla precarietà. E’ doloroso e basta. Superato il dolore, infine, resta solo l’opportunismo e la cattiveria.
Tenere i figli lontani da ogni meschinità. Proteggerli da ogni possibile risvolto che possa derivare da azioni irresponsabili. Prima di me, te, voi, ci sono i figli. E mi@ figli@ la tengo al sicuro mentre io vado a fare la guerra per le strade per dire allo Stato che la precarietà è una condizione inaccettabile. La porto con me a insegnarle come si rivendica un diritto quando un datore di lavoro ti dà il ben servito senza scuse dopo essersi arricchit@ sulla pelle tua. Ma di certo non l@ coinvolgo né l@ porto con me, mai, per insegnargli/le a rivendicare dall’ex la soluzione ai miei problemi.
Autodeterminarsi senza vittimismi è faticoso, lo capisco, ma vi prego: non mascherate da rivendicazione autodeterminata la vostra guerra personale contro gli ex, perché è un insulto a tutte le donne come me che si sono fatte il culo così per esistere senza chiedere niente a nessuno. Non chiamateli neppure femminismi perché femminismi non sono.
Sono Donnismi, Mammismi, dove si ritiene che averci un utero e essere madri ci faccia identiche. Non è così. Qualunque sia la vostra guerra, non in mio nome, e se non siete riuscite a reclutarmi non sono una traditrice della specie: sono una Eretica, orgogliosissima di essere tale.
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Complimenti, di nuovo.
Ho però l’impressione (che ribadisco in quanto già scritta altre volte) che il grosso problema non sia “a valle” del matrimonio ormai in crisi e quindi finito ma “a monte” di quello che viene celebrato già con l’intenzione di farlo finire o per lo meno senza l’idea chiara di cosa sia un matrimonio una volta che ci sono i figli. Perché fino a che i figli non ci sono i problemi sono solo tra i coniugi, e in fondo chi se ne importa.
Per i figli invece, i problemi dei genitori sono secondari ed esistono solo in quanto potenziali cause di loro malesseri. La vita di un bambino è fatta di mamma e papà che devono esserci ed essere degli adulti, non degli adolescenti mal cresciuti.
Guardandomi in giro sono sempre più certo che per molti questa crescita non ci sia. E siccome a cadere in piedi sono sempre le donne (almeno così pensano, salvo quando si rendono conto che i problemi di una vita possono essere molto superiori all’assegno di mantenimento, soprattutto quando non hai mai avuto intenzione di investire in te stessa ma solo nel buon matrimonio) ho l’impressione che sia molto più frequente che a sfasciare matrimoni con bambini piccolissimi siano le mogli che improvvisamente si ritrovano “insoddisfatte” di una vita per la quale pure hanno fatto il diavolo a quattro per ottenerla.
Ma “l’insoddisfazione” è solo l’alibi dietro il quale ci si nasconde per coprire il proprio vuoto interiore.
E c’è una bella differenza tra un padre che sta magari lontano per il lavoro con cui campa e stracampa la famiglia ed una madre che crea casino solo perché il collega di ufficio o l’amico in palestra le ha fatto due complimenti, e quindi trova l’alibi del “mio marito mi trascura, non c’è mai, il carico della famiglia è tutto addosso a me”. Scuse.
Peraltro, io non ho mai sentito dire ad un marito scontento della moglie e che sia proprietario dell’appartamento in cui vive “io, a quella, la sbatto fuori di casa!” cosa invece purtroppo molto diffusa nel linguaggio comune delle giovini mogli in particolare quando hanno la proprietà della casa. Sintomo di un’arroganza sconfinata.
Non credo che questa norma sia risolutiva, ma penso che qualunque passo fatto in direzione del “chi rompe paga” sia di vantaggio. Potrebbe essere risolutiva solo quando alla responsabilità della separazione sarà immediatamente collegato il collocamento dei figli: sono certo che il numero di separazioni per “insoddisfazione” più o meno vagamente espressa calerebbe drasticamente, a tutto vantaggio dei bambini che smetterebbero di essere ostaggi all’interno di una rapina. Colpirne una per educarne cento…
Anche se, probabilmente, giudici ed avvocati se ne inventerebbero di ogni genere pur di vanificarne gli effetti per le “sorelle” (i giudici matrimonialisti, più ancora che gli avvocati sono quasi tutte donne) e invece calcherebbero la mano contro i mariti rei di essere espressione di una “cultura patriarcale” che ormai esiste solo in modo residuale e nella retorica degli alibi (‘un ce la fo’, gli è holpa del patriarcato maschilista, miha del fatto he ho studiato lettere e ‘hiedono solo ‘ngegneri. Sicché!)