Malafemmina

L’obiettivo della precaria

Il divo è un signor divo. Avariato, vecchio, decrepito, ma un signore, in tutti i sensi. Mi fa lavorare il giusto, non manca di farmi sentire apprezzata per quello che faccio e ha voluto sapere tre quarti della storia della mia vita.

Gli ho raccontato della mia precarietà e lui mi ha raccontato dei bei tempi andati in cui faceva la fame in cerca di un ingaggio. Faceva l’accattone in giro per case di amici e si è trovato a dormire più volte alla stazione pur di partecipare ad un concerto o di fare un’audizione.

Uno della vecchia guardia, quando i talent televisivi non esistevano e per farti notare dovevi essere presente ovunque con un talento che non poteva essere messo in circolo a più riprese. Immediato, dovevi colpirli da subito, così mi dice lui, e io secondo lui sto nella stessa merda e “vedrai che ce la fai perché sei in gamba…”.

“Lei non capisce… io non ho un talento come il suo. Lei almeno sapeva cantare, ma io ho mille talenti e nessuno perché la vita di una precaria è quella di sapere fare tutto e niente…”

“Mentre cercavo di sfondare come cantante io ho fatto di tutto. Ogni tipo di lavoro. Però avevo un obiettivo. Tu ce l’hai un obiettivo?”

Già. Io ce l’ho un obiettivo? Campare. Essere indipendente. Non tornare a casa dai miei e riuscire a pagarmi un affitto. Perché i sogni di noi precari/e si sono ridotti all’essenziale. Lui voleva diventare un cantante, a me basta pensare che domani potrò ancora contare su una casa in affitto con una caldaia per avere l’acqua calda e il riscaldamento. E se non c’è il riscaldamento che almeno ci sia un tetto e un posto tutto mio.

“No, non lo so. Ce l’ho un obiettivo ma non so qual è. Al momento mi interessa guadagnare soldi per essere indipendente.”

“Non devi pensare ai soldi. E’ il modo sbagliato di vedere la cosa. Devi pensare a quello che vuoi fare della tua vita.”

E si che è decrepito e forse per questo riesce a dare valore alle giuste priorità.

“No, allora no. Sicuramente sbaglio ma mi sento sempre stretta nell’emergenza e la mia priorità per ora è non finire sotto sfratto perché la qualità della mia vita dipende da questo. E’ facile dire che i soldi non contano ma di questi discorsi un po’ radical chic dei bei tempi andati, come certi ministri che ci chiamano fannulloni anche se ci facciamo tutti un gran culo così, a me non convincono molto…”

“Hai ragione. Oggi è diverso e forse mi sbaglio, però tieni presente l’obiettivo. Un obiettivo solo per te.”

L’obiettivo. Non ho idea di quale sia. Sopravvivere? Perché il mio è un obiettivo minimale.

Il mio obiettivo è godere di quelle qualità alle quali nessuno dà valore. Mi piace vivere, ridere, amare, godere…

Questa cosa dell’obiettivo attorno al quale finalizzare tutta una esistenza non mi convince tantissimo. E se quell’obiettivo non lo raggiungessi? Perché in passato era così, anche per mio padre un po’ è stato così: il mondo si divideva in chi riusciva e chi no, come se dipendesse da te, come se non c’entrasse nulla il punto dal quale partivi, gli svantaggi sociali ed economici che ti portavi dietro.

A me forse non interessa raggiungere un “obiettivo” perché non voglio sentirmi una fallita se non ce la faccio. A me magari interessa di più vivere una vita di qualità riuscendo a convivere con le mie sconfitte e misurando gli obiettivi volta per volta a seconda delle mie esigenze di ogni giorno.

Posso anche ritagliarmi dei progetti ma tra questi progetti prioritariamente è contemplato quello di resistere e di non farmi spezzare. E secondo me questo non è volare basso.

A mio parere riuscire a resistere, senza perdere la propria umanità e senza farsi piegare è volare molto alto e se è necessario che io abbia un obiettivo, ecco, quello è il mio obiettivo.

Le cose materiali, il successo, la gloria, l’accumulo di “proprietà”, erano cose delle generazioni passate, temo. O forse sono cose ancora attuali per cui la società misura le mancanze sulla base di obiettivi che però non sono i miei.

Io e altri come me credo oggi vogliamo altro. Vogliamo condividere le esperienze, vogliamo essere testimoni di un tempo, vogliamo non dimenticarci l’uno dell’altra, vogliamo guardarci negli occhi e vederci davvero, oltre le proprietà, oltre gli orpelli inutili, oltre milioni di strati di convenzioni sociali, perché io non sono quello che ho ma ho quello che sono.

“Divo, sei tanto gentile a dirmi chi sei stato e cosa immagini io debba voler desiderare ma, come dire, tu non sei me e io non mi sento in difetto se non sono te. Siamo diversi. Ma comunque grazie.”

Quest’uomo con i capelli bianchi e pateticamente ritinti di nero, con le basette demodè, con gli abiti di scena che svelano un che di nostalgico mi dovrà spiegare prima che se ne andrà via se quello era il suo obiettivo perché se pure ha viaggiato e ha vissuto ora è qui, in questo villaggio vacanze bruttissimo, a fare una marchetta per intrattenere un pubblico che lo ascolterà solo perché lui è uno che arriva dalla televisione.

“Se i soldi non sono importanti, allora, dimmi, che cosa ci fai tu qui?”

Ovviamente non mi ha risposto…

NB: Malafemmina, diario di una precaria qualunque, è un personaggio di pura invenzione e un progetto di comunicazione politica. Ogni riferimento a fatti, cose e persone è puramente casuale. 

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