Stasera ho calcato le scene. Un palco quattro metri per sei, abbastanza accidentato. Al centro un “artista” della beffa che prendeva in giro i villeggianti attraverso giochi scemi. Solita voce da DJ delle radio di provincia. La richiesta di partecipazione di alcuni volontari e poi l’utilizzo di alcuni strumenti, cose che servono per travestimenti di vario tipo.
“Ecco che arriva il signor… Marco… su coraggio ah ah ah… mangiato troppo stasera? ah ah ah… ora le facciamo perdere qualche chilo e sicuramente la sua signora ne sarà felice…”
La sua signora invece se ne fregava e ingoiava in due morsi un gelato maxi.
Dov’ero io? Eccomi, sto qua: sono quella che regge gli attrezzi per i camuffamenti. Faccio di mestiere la donna-mensola, muta e sorridente.
Per l’occasione mi hanno vestita da selvaggia del west (sexy). Camicia annodata sotto i seni, pantaloncino corto, stivaletto di camoscio più sullo stile squaw. Volevano mettermi a scelta un cappello da cow boy o una piuma e farmi le treccine.
“Se toccate i miei capelli vi trancio le mani…” – ed ero decisissima.
Poi mi hanno detto che non era necessario che io mi innervosissi perché “andrà tutto bene”:
“Vedrai, sarai brava come sempre… tu ci sei portata per queste cose…”
Essere portata per stare zitta, sorridente e mostrare un po’ di carne mentre un deficiente qualunque prende in giro un ospite pagante. Grande prospettiva. Da spararsi in testa all’istante.
Non dico che chi fa questo mestiere deve aspirare al suicidio, tutt’altro. Dico solo che per quello che mi riguarda è un ripiego, una cosa che riesco ad affrontare solo perché uso chili di ironia per sopravvivere e perché non mi prendo mai sul serio, neppure ora, mentre può sembrare che stia imbastendo un saggio sociologico sull’arte dello sfruttamento del corpo femminile.
Il problema esiste eccome ma bisogna guardarla anche da un’altro punto di vista. E’ mia opinione che il problema gravissimo da fronteggiare in questo momento sia lo scarso uso di cervelli ottenebrati dalla vista di corpi esposti.
Guardateli questi poveri umani così costretti a centellinare l’intelligenza in grammi. Così parsimoniosi nell’elargire al mondo le loro intuizioni e le prove della loro grande creatività. Quanto devono soffrire costoro? Quanto sarà dura per i loro neuroni compressi che chiedono aiuto rinchiusi là dentro dietro enormi grate di schematismi e costrizioni sociali.
Povere divinità piegate a sembrare piccole persone dimenticando che hanno fatto scritto la storia reinterpretandola nel modo che gli era congeniale. E quell’invenzione è costata patimento e sacrificio e secoli e secoli di abnegazione e attitudine al sacrificio di tanti amanuensi votati alla causa dell’intelligenza dell’uomo.
Dove abbiamo sbagliato, mi chiedo? Quali errori possiamo aver commesso, noi umani, per aver costretto esseri di siffatte potenzialità a ridursi alla brutta copia degli orango che mangiano, pisciano e poi ci deliziano con fior di grattatelle di palle?
Nell’imbruttirsi hanno bisogno di essere sempre accompagnati da chi ha pur conservato la bellezza. E se è vero che la bellezza è in primo luogo un dettaglio interiore che traspare e allora eccoci, noi, bellissime, pronte a prestare luce dove c’è solo buio, sicché tutti possano distrarsi dalla penosa esibizione del buzzurro che sta sul palco e concentrarsi argutamente sulle mie tette.
Ho delle tette anch’io, sapete, due per l’esattezza, e oggi in spiaggia le hanno viste tutti. Sarà per questo che mi hanno candidato a questo ruolo di prestigio. O forse per punirmi perché due tette così non possono restare inutilizzate nel sacro mercato della carne del villaggio vacanze.
Oh si, ci sono portata, a fare la donna-mensola, la poggia attrezzi, senza doppi sensi, la cornice decorativa di una parentesi da museo degli orrori in cui arriva il signore con la panza, l’altro dalla pronuncia spiccatamente dialettale, poi il galletto che “oh dai, ecco, la nostra Malafemmina ora ti mette la parrucca così non patisci più il freddo… ah ah ah!” e Malafemmina mette ed è lei che patisce il freddo perché fa un gran freddo quaggiù e questo prescinde dalla tetta scoperta.
Non mi vergogno di me così come non penso che altre ragazze che fanno le donne-mensola abbiano a vergognarsi di se stesse. Mi vergogno per loro e bisogna davvero immaginare un modo per aiutarli, questi poveri esseri umani, ridotti a farsi seghe metaforiche in ogni secondo della loro esistenza.
Cominciamo con il portargli dei catini, dei secchi a raccogliere il liquido che cola e che volta per volte espelle cellule vive lasciando attaccate all’epidermide solo quelle morte.
Questo posto è un circo e io sono una scimmia ammaestrata con qualche pelo in meno.
Tutto sommato credo che apprezzerò molto dovermi dedicare al cantante del dopoguerra. Certo che se dovrò fargli la respirazione bocca a bocca perché si fa venire un colpo mentre si esibisce, non se ne parla proprio…
NB: Malafemmina, diario di una precaria qualunque, è un personaggio di pura invenzione e un progetto di comunicazione politica. Ogni riferimento a fatti, cose e persone è puramente casuale.