Alla fine non ce l’ha fatta. Parlo della cameriera infortunata. Perciò ad una certa ora del pomeriggio sono venuti a cercarmi. Volevano mantenessi l’impegno preso con lei. Aveva bisogno di riposo. Io ho dovuto sostituirla. Avevo detto che mi sarei pentita e così è stato.
Abbastanza preoccupata per ogni lotta di ogni lavoratore o ogni lavoratrice che in piazza denunciano la propria condizione e subiscono repressione e manganellate. Qualunque mio lamento oggi mi sarebbe sembrato fuori luogo.
Soffrono altri e soffro anch’io perché la precarietà è fatta di resistenza e la resistenza vale quando vogliono toglierti il diritto di decidere quello che deve succedere a casa tua o quando tentano di stremarti per farti mollare mentre tu lotti per andare avanti.
E’ un po’ una guerra. Ciascuno vive la propria. A me toccava oggi dare il cambio a questa giovane donna, con l’anca dolorante, la schiena a pezzi, alla quale nessuno voleva concedere un po’ di riposo.
Cena. Sala da 150 posti. C’è il buffet, dunque non bisogna servire in tavola. Bisogna sparecchiare e assistere gli ospiti. E’ stato comunque drammatico.
Eravamo in tre. Tre persone per 150 posti cena. Tre turni tavola. Sparecchia, riapparecchia, sparecchia riapparecchia, sparecchia riapparecchia, pulisci.
Poi c’erano quelli che volevano qualcosa di diverso e che esigevano una interlocuzione minima con le cucine.
In cucina l’aria era da tiro del coltello. Poco ci mancava. Litigavano, causa stress e lavoro eccessivo, per ogni battuta. Impossibile rivolgergli la parola senza beccarsi una parolaccia.
E nonostante le scarpe comode andare su e giù per quella enorme sala mi ha causato due ferite sui talloni. Non mi era mai successo fino ad ora, di avere il sangue ai piedi dico. Grondavano sangue dalla carne, da microfessure sui talloni. Non ho provato dolore, sul momento, ho solo visto la scia di sangue.
Mi hanno dato qualcosa per medicarmi e ho continuato a lavorare.
Finito il turno della cena, intorno a mezzanotte, sono andata a dare il cambio a un collega dell’animazione che aveva da fare nella zona disco.
Ho finito mezz’ora fa e sono abbastanza stravolta. Non ho quasi cenato, credo di aver perso almeno due chili in poche ore, i talloni mi fanno un male boia, non so come smacchiare le scarpe basse e chiare che mi piacevano tanto (sono piene di sangue) e l’unica cosa che mi consola è il fatto di aver lottato anch’io, oggi, a mio modo, per solidarietà e per me, perché sono un essere umano e voglio restare tale. Ammalarsi di egoismo neanche a parlarne.
Buona notte a quelli che in piazza si beccano lacrimogeni, manganellate, idranti, a quelli che hanno lottato e non hanno mai abbassato la testa. Neppure io l’ho fatto. La mia schiena è rimasta dritta. Il mio sguardo fiero.
Resistere. Resistere. Non bisogna far vedere che stai soffrendo perché la sofferenza è rabbia e la rabbia è lotta. Perché nessuno può togliermi la dignità. Nessuno.
Ora che sono sola, però, ora che nessuno mi vede, adesso che so di parlare a voi che avete sofferto tanto quanto me e avete lottato senza arrendervi, posso farlo, ho bisogno di farlo.
Vi dedico le lacrime. Di rabbia. D’amore. Di passione. D’orgoglio. Di vita. Di tutto ciò che mi tiene in piedi. Perché questo tempo finirà e perché io non mi arrendo.
NB: Malafemmina, diario di una precaria qualunque, è un personaggio di pura invenzione e un progetto di comunicazione politica. Ogni riferimento a fatti, cose e persone è puramente casuale.
Ho fatto la cameriera estiva per 17 anni in Romagna, 11 ore al giorno 7 giorni in settimana per cinque mesi senza stacco.
Colazione, pranzo, cena…
Con la febbre, il mal di schiena, i piedi doloranti (sempre avere due paia di scarpe di diverso tipo a portata di mano per poter riposare il piede alternandole)
Mi ritrovo nel tuo racconto.
Allora almeno la paga era accettabile, oggi non più. Pagano meno di dieci anni fa, giocando sulla disponibilità degli stranieri, utilizzano i contratto a chiamata e non ti segnano le giornate.. Va sempre peggio.
Fortuna che ho cambiato lavoro.