Eccomi qui, dopo parecchi giorni di assenza in un momento di pausa tra la notte semi-insonne e l’alba, con tutto il lavoro che dovrò affrontare tra pochissimo.
Sono qui dal 20 giugno. Finisco il 20 settembre. Mi pagano 800 euro mensili più vitto e alloggio. Sono parte del gruppo di animazione che ha il dovere di far divertire le persone che vengono qui in vacanza. Donne, uomini, bambini, famiglie, single, persone ricche e annoiate o povere che arrivano qui dopo aver fatto un prestito e aver messo in valigia abiti che sono troppo vistosi per sembrare parte del loro look naturale.
Chissà perché la gente che va in vacanza tende ad addobbarsi nei modi più improbabili. Quelli che si divertono di più sono senza dubbio i bambini che godono di tutte le belle cose che offre il villaggio e se ne fregano dei tanti problemi dei grandi.
Gli adulti invece li vedi spesso vagare con l’aria di chi va alla ricerca di qualcosa che di sicuro non troverà qui.
I villaggi turistici sono una illusione. Se il pacchetto vacanze viene venduto a single, si offre spesso l’illusione di una avventura, un nuovo amore, del sesso gratuito. E questa gente capisce solo poi che non è un cambio d’abito o di luogo che la farà diventare altro rispetto a quello che è. La solitudine non si baratta con un pacchetto vacanze. Perché soli, in primo luogo, lo si è interiormente.
Se nessuno se li fila in città nessuno rivolgerà a loro attenzioni neppure qui. O se qualcuno rivolgerà loro delle attenzioni – tutt’altro che romantiche – corrono il rischio, poi, di sentirsi più soli di prima. Ma è per questo che esistiamo noi, animatori e animatrici 24 ore su 24.
Il nostro primo dovere è quello di sorridere, essere gentili e disponibili, divertire, far sentire gli ospiti unici, desiderati, particolari. Noi facciamo parte dell’illusione. Dobbiamo creare la magia.
Sorridere all’accoglienza, di supporto alla reception quando arriva il nuovo gruppo settimanale di turisti. Sorridere in piscina, dove dobbiamo far partecipare a giochi deficienti uomini tamarri e donne troppo ingioiellate. Sorridere a pranzo, perchè senza le nostre moine forse ricorderebbero che hanno speso troppo per avere in cambio pasti così poco saporiti. Sorridere dopo pranzo, per farli digerire e poi intrattenerli in giochi da tavolo o da spiaggia, perchè i turisti sono come i bambini e noi dobbiamo mollarli solo se hanno fatto il ruttino. Sorridere per l’aperitivo e ancora a cena e nel dopo cena, nel grande show che li vede in fila ad aspettare il turno per partecipare a giochi tristi che diventano divertenti solo perché noi siamo divertenti e divertiti.
Sto partecipando alle prove per far parte dello spettacolo del sabato sera. Ma fondamentalmente mi annoio.
Mi annoia vedere le signore un po’ snob e un po’ leghiste che qui si concedono la “trasgressione” di fare sesso non soddisfacente con l’aiuto cuoco che racconta di essere parigino e che invece arriva dal marocco. Mi annoiano i signori che si aspettano di poter fare sesso con ciascuna di noi.
Però per contratto non possiamo mandare a quel paese i clienti e non c’è nulla di nuovo rispetto a quello che devo fare normalmente al bar. Alcuni tra noi si vede bene che si sentono a disagio, soprattutto quelli che non sono arrivati qui in coppia.
Mi hanno detto che posso scegliere tra un paio di opzioni. Posso accettare di avere avventure, una a settimana, con i turisti che arrivano a prendersi divertimento e vogliono portarsi a casa pezzi di carne delle animatrici come souvenir, o posso stabilire una relazione “stabile” con un collega, magari quello più giovane, che quasi sicuramente vedrò prima o poi all’alba a fare il filo ad una turista più bella di me.
A me interesserebbe avere semplicemente qualche relazione umana un po’ più vera e intelligente e l’unica persona con cui fino ad ora ho scambiato qualche chiacchiera decente è quello che porta i quotidiani al mattino. L’unico che non mi fa sentire fuori dal mondo e che parla di cose che viste da qui sembrano davvero tanto lontane.
Per il resto userò il computer come compagno di percorso. L’unica cosa, qui, che non sia usa e getta.
Lo so che è un post un po’ nostalgico ma mi manca casa mia. Mi mancano le mie cose, la mia vita di sempre. Mi mancate voi che mi avete sostenuto in questi mesi.
Perchè la mia dimensione della precarietà è sempre presente, perché io so che quando questo lavoro finirà dovrò ricominciare da capo e sono cosciente del fatto che al mio ritorno troverò il deserto, ma qui, come in qualunque altro luogo dell’industria del divertimento, una precaria non può mostrare il proprio disagio.
Su una cosa il capo gruppo animazione aveva ragione. A furia di andare su e giù per il villaggio le mie cosce stanno diventando so-li-de come piloni di cemento armato. Proverò a non far seppellire dalla colata di cemento anche il cervello.
NB: Malafemmina, diario di una precaria qualunque, è un personaggio di pura invenzione e un progetto di comunicazione politica. Ogni riferimento a fatti, cose e persone è puramente casuale.