Ore otto del mattino. Suona la sveglia. Ho il colloquio alle nove e mezzo. Stanotte ho fatto l’alba.
Il titolare del bar ha fatto di tutto per trattenermi. Sapeva del colloquio e si comportava come fanno certi partner che ti dicono “ma si, vai tesoro, io sono felice se tu sei felice” e poi se ne stanno a fare il muso a rivendicare tutto il rivendicabile per farti sentire in colpa.
“E l’hai spremuto lo strofinaccio?”. Si. “E l’hai chiuso il rubinetto del bagno? Lo sai che gocciola e poi dopodomani quando apro il locale trovo il lago.”. Si. “E l’hai spenta la macchina del caffè?”. Si. Già che lo so la prossima volta registro la mia voce e gli lascio il nastro attivo con una serie di “si” cadenzati. Così lui è tranquillo, il suo ego soddisfatto, e io posso andare a dormire.
Ho due occhiaie da far spavento. Direzione caffè. Senza caffeina non connetto. Riesco ad evitare lo spigolo del tavolo, due sedie, una mensola. Prendo la curva stretta, gli spazi troppo angusti, la manica finisce incastrata alla maniglia. Sbatto il gomito. Normalmente il mio ginocchio ha la peggio. Stamattina la dea delle precarie mi ha graziato l’arto.
Jeans. Troppo informali? No, va bene. E’ un ambiente casual. Le vogliono eleganti senza pretese. Camicia azzurra. Risalta gli occhi. Capelli raccolti. Sono cespugli ma per me è l’alba. Non mi formalizzo. Vorrei spiegarlo a mia madre che cercarsi un lavoro è già un lavoro. Crema idratante sul viso. Lucida-labbra. Sono un bijoux. Non potranno dirmi di no.
Due autobus perché l’assessore si è divertito a cambiare i sensi di marcia per far passare il traffico lontano dalla casa della parente. Così dicono.
Sono le nove e un quarto. Persino in anticipo. Citofono. “Lei è?” “Malafemmina, avevo appuntamento per un colloquio.” “Si, salga.”
Ambiente moderno, ingresso luminoso, grande divano arancione, cuscini neri e azzurri. Tappeto azzurro, di un azzurro un filino diverso da quello dei cuscini. Non sottilizziamo. Che vuoi che ne sappiano loro della tua mania di accostare perfettamente i colori.
Segretaria in tinta. Fard arancio, ombretto azzurro, eyeliner nero. Bella tipa. Ha l’occhio della selezionatrice dei pezzi della scuderia. ”Prego, si accomodi”.
Dietro la porta compare un uomo comune. Non ha nulla di arancione, azzurro o nero. Banalmente castano, pullover di cachemire beige, pantalone misto lana-cotone marrone. Ha i soldi. Non servono altri dettagli.
Tende la mano. Ha una stretta forte. Sorride. Vorrei ricambiare ma viene fuori una smorfia. Quando sono nervosa continuo a mordermi il labbro.
“Allora…”, pausa, mi metto in posa di attesa “si accomodi”. Ah certo. Tutto qui? Mi accomodo. Sedia design ultramoderno. Di quelle che si reggono con lo sputo. In realtà non c’è neppure la spalliera. Trovo un equilibrio incrociando i piedi e mettendo le ginocchia in posizione da caduta. Dovesse mai succedere sono già preparata.
“Ho visto il suo curriculum…”
E…? Vuoi farmi venire un infarto? Sarai mica un clone di Celentano con tutte queste pause.
“Notevole, davvero notevole… Non ho capito cosa fa adesso…”
“Pubbliche relazioni per un locale .” – mento spudoratamente. Non posso dire che servo ai tavoli e lavo cessi. Il mestiere più difficile di questi tempi è fingere di essere una realizzata donna in carriera per non puzzare di precarietà come la peste. Perché nessuno vuole una dipendente, pardon, collaboratrice a progetto che non sia più che felice della sua condizione precaria.
“Ah, interessante… e cosa fa esattamente?” – la cosa si fa difficile.
“Tengo i contatti con la stampa, pubblicizzo gli eventi, ma è una specie di stage, lo faccio perchè in questo momento non ho un lavoro e dunque in realtà aiuto un amico…”
“Si si, certo, una donna impegnata!” – di nuovo mi concede un sorriso. La mia espressione resta immutata. Non riesco proprio a mentire e a mostrare cordialità allo stesso tempo. Ci sono corsi appositi da seguire per fare la faccia socievole con il tuo futuro sfruttatore, certe colleghe sono preparatissime. Potrebbero interpretare film da oscar.
“Le presento la mia socia…” – quarantacinquenne, labbra a canotto, botulino a colazione, pantaloni strettissimi, tacco dodici, blusa griffata con una scollatura ombelicale.
“Piacere…” – anche lei sorride. Qui sorridono tutti. “Ma che carina… sei venuta per il lavoro?”
Provo a fare la faccia più brillante che ho in repertorio.
“Si si, grazie! Vorrei sapere di che si tratta…”
“Ecco si, ha ragione…” – lei la chiamiamo Dorotea e lui Ubaldo. Parla Ubaldo: “Dorotea vieni e siediti anche tu così ne parliamo…” – si rivolge a me – “perchè vedi… posso darti del tu, vero?” – veramente no perchè non so chi sei ma tanto a te non importa – “noi amiamo fare i colloqui insieme perchè ognuno di noi riconosce diverse qualità…” – mi sento una bestia da allevamento, al mercato di primavera.
“Allora Dorotea, che ne dici?”
“No no, Ubaldo, è davvero carina, mi sembra perfetta…”
Oso: “Perfetta per cosa?”
“Dorotea ha l’occhio clinico per queste cose. Ha ragione. Sei quello che cerchiamo…”
Troppo facile. Ora si scopre che lui è un magnaccio e lei la sua maitresse e che vogliono una puttana tutto-fare.
“Cara, ci serve una ragazza come te per fare pubbliche relazioni. In questa agenzia abbiamo creativi, grafici, avevamo anche una pr che ci ha lasciato due settimane fa…”
“Nel senso che è morta?”
“Ma no… che carina…” – se mi dice un’altra volta con quel tono che sono carina, neanche fossi un cane da passeggio, mi alzo e me ne vado – “ha cambiato lavoro. Ha trovato qualcosa che le piaceva di più e se ne è andata…” – nota di rammarico per lei, quell’altra, l’ingrata.
“Ah! Mi scusi, avevo capito che…”
“Non preoccuparti. Non devi scusarti di niente. Ci stiamo appena conoscendo. Ti abituerai all’ironia di Dorotea…” – oh, perchè? quella era ironia?
“Insomma…” – continua Ubaldo – “ci serve proprio una persona come te, con il tuo curriculum. Ti spiegheremo le tue mansioni durante la prima settimana di prova. Sarai a stretto contatto con Dorotea e lei ti spiegherà tutto…”. Che culo! Una settimana intera con Dorotea.
“Il contratto è a progetto perchè ci serve una persona per curare una cosa interessante che stiamo seguendo adesso. Te ne parleremo quando inizierai la prova. La paga è di tremila euro e questa cosa dovrebbe durare un paio di mesi, giorno più giorno meno…”
Tremila euro. Ossigeno. Fiato. Ma si, mi faccio piacere anche Dorotea. Guarda come riesco a fare il labbrone pure io. Vedi che siamo simili? Sorelle. La prossima volta mi strappo un bottone della camicetta. Non arrivo all’ombelico ma posso lasciarti intravedere la lingerie da mercatino comprata per ben cinque euro al pezzo. Roba di lusso, altrochè.
“Se sei d’accordo cominci con la prova lunedì prossimo e se questi due mesi andranno bene…” – si rivolge a Dorotea che gli sorride complice – “e noi speriamo di si…. possiamo parlare di altri progetti da seguire insieme…”
“Certo cara…” – Dorotea toglie una scarpa e un profumo di piede costretto si espande per la stanza, praticamente io sono già di casa: “vedrai che andrà tutto bene e andremo d’accordissimo. Tieni il cellulare acceso perchè la segretaria potrebbe chiamarti durante questa settimana per qualche dettaglio burocratico. Allora ci vediamo lunedì prossimo?”
“Si si…” – non riesco a dire niente di intelligente. Continuo a inspirare rapidamente per evitare il puzzo di plastica pedestre. Ho bisogno di uscire subito da quella stanza.
“Tutto deciso, no? Vedi Ubaldo che alla fine era lei quella di cui avevamo bisogno?”
“Si, è vero… Dorotea aveva intuito che tu potevi essere adatta. Lei ha proprio fiuto. A lunedì, allora!”
Eccolo il sorriso. Viene fuori senza preavviso. Sorrido quando sono imbarazzata. Lei ha fiuto. Io ho naso. Il mondo ha le narici. Ho un lavoro che dura più di una settimana. Non so ancora cos’è ma mi hanno promesso tremila euro.
Mamma, papà, ho di che pagare l’affitto per altri quattro mesi.
Torno a casa.
Non so ancora che farò in quel regno della finzione, dove l’unica cosa vera è la puzza di piedi, ma è sempre meglio che niente.
In ogni caso a carnevale prossimo mi vesto da Dorotea. Sicuro!
NB: Malafemmina, diario di una precaria qualunque, è un personaggio di pura invenzione e un progetto di comunicazione politica. Ogni riferimento a fatti, cose e persone è puramente casuale.