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Prostituta per scelta: vendo un servizio e non mi vergogno per questo!

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Trentadue anni, ho preso il diploma e ho lasciato a metà l’università perché avevo bisogno di lavorare. Ho fatto un po’ la commessa, un po’ ho lavorato in un call center, poi ho tentato con altri lavori precari e ancora non riuscivo ad andare via di casa e a crearmi una vita autonoma. Ho cominciato a fare la cameriera in un piccolo pub, poi ho trovato lavoro in un locale in cui mi pagavano il doppio perché servivo ai tavoli con minigonna e reggicalze. Il lavoro era sempre uguale, in più mostravo un po’ di corpo. I clienti sborsano più soldi se gli fai vedere qualcosa, questo era il principio della mia datrice di lavoro, perché il locale era gestito da una donna e non da un uomo, come si potrebbe pensare. So che in questo genere di lavoro si discrimina, perché essere carine sembrerebbe un valore aggiunto e invece non dovrebbe essere così. Dovrei poter contare su altre competenze per trovare un lavoro. Ma il mondo va così e a me, tutto sommato, va più che bene.

Nel locale, in serate festive, abbiamo organizzato le bevute con semi streap tease, poi gli spuntini sexy e in realtà io e le altre colleghe ci siamo divertite tanto e non abbiamo mai avuto nessun problema. Carine, simpatiche, in gamba, senza vizi, così ci voleva la datrice di lavoro. Poi lei ebbe un brutto incidente automobilistico e quando fu guarita mi disse che aveva perso fin troppo tempo a restare ferma a lavorare, perciò decise di passare la gestione del locale a un’altra persona e lei cominciò a viaggiare. La seconda gestione del locale fece diventare tutto un po’ più volgare e io decisi di lavorare per conto mio. Quando lavori mostrando il corpo, in qualche modo, prendi ad avere fiducia nelle tue possibilità, perdi i tuoi complessi e capisci che se ti conci un po’ la bellezza, in realtà, è soggettiva.

Misi qualche annuncio e cominciai a propormi come accompagnatrice. Così iniziò la mia attività da sexworker. Incontravo i miei clienti prima in un bar, in pubblico, per prendere un caffè e capire di che pasta erano fatti. Ne ho rifiutato qualcuno, perché non mi piacevano i modi e mi facevano presagire a brutte evenienze e devo dire che in questo modo ho spesso azzeccato il cliente giusto, che non mi dava problemi e che pagava puntualmente. Solo in un paio di occasioni ho trovato un finto timido che con la scusa dei complimenti e del suo grande amore voleva scopare gratis e un cafone che provò a rubarmi un po’ di soldi ma non c’è riuscito. Non conosco molte altre, come me, perché la nostra legge proibisce la co/gestione di questa attività, perché altrimenti becchiamo denunce per favoreggiamento o altre cose del genere, però gli annunci sono utili a comunicare quali sono i clienti che non vanno bene. Ci sono quelli che ci provano con tante. Seguono commenti online in cui si danno indicazioni su comportamenti che devono essere ritenuti sospetti.

Oggi ho dei clienti fissi, guadagno bene, aspetto una legge che regolarizzi il mio mestiere così posso pagare le tasse avendo anche garanzia dei miei diritti, non dipendo da nessuno, non sono sfruttata da nessuno, ogni tanto viaggio e ho incontrato colleghe che lavorano in luoghi regolari. Non fosse che mi piace il clima del mio paese migrerei a nord. Forse lo farò più in là, per ora resto qui a gestire i miei affari con l’impressione precisa che attorno alla conoscenza del mio mestiere ci sia tanto pregiudizio e tanto moralismo. Dato che da un po’ l’attenzione è puntata a sgominare bande di sfruttatori e adolescenti che si sono messe a fare concorrenza a noi adulte anche io, e altre, dobbiamo essere più prudenti e discrete. Niente annunci, silenzio stampa, per non essere poste al centro dell’attenzione, perché si sa che in questo momento, dato che s’è scoperto che l’altro modo che gli uomini hanno per ottenere orgasmi è quello di “salvare” le donne anche se non si dichiarano vittime, manca poco che se qualcuno mi scopre niente niente decide che io devo essere redenta, violano la mia privacy e mi piazzano l’aureola in testa.

I pruriti moralisti, assieme alle ordinanze decorose di certi sindaci, questa necessità repressiva di salvarci tutte quante, parlando male di quelle che scelgono di fare questo lavoro, ci mettono non poco in difficoltà. E dire che ho conosciuto, nel tempo, studentesse universitarie che si prostituiscono, poi si laureano, poi fanno altro, e la vita da sex worker non ha lasciato alcun trauma nella loro vita. Forse perfino le vostre migliori amica l’hanno fatto e voi non ne sapete niente perché non ve lo dicono. Semplicemente hanno svolto un lavoro come un altro in cui si guadagna di più e hai necessità di saper gestire meglio e bene un certo numero di relazioni umane. Non è semplice, bisogna saperlo fare, perché la prostituzione non è per tutte, ma se lo sai fare, qualche volta ti diverti pure. Io trovo divertente passare del tempo con alcuni miei clienti. Non mi sento sporca, non mi sento colpevole, e loro, per quello che ne so, non hanno proprio niente che non va. Il cliché del cliente che va a puttane perché è un rozzo pezzo di merda stupratore è, appunto, uno stereotipo. Ci sono uomini di ogni tipo e poi ci sono quelli che semplicemente non hanno tempo, voglia di intraprendere relazioni, che hanno esigenze particolari e che con una prostituta si sanno e si possono esprimere meglio.

D’altronde il mio è un lavoro di cura, come tanti altri. Se fai la badante non è detto che ti capita la persona piacevole e simpatica. Devi saperci fare. Io vendo un servizio, non vendo il mio corpo. Mi prendo cura di loro e loro mi pagano per questo. Non so davvero perché scandalizzi tanto lo scambio sesso/denaro. D’altro canto è una scelta, la mia scelta, non obbligo nessuna a fare la stessa cosa. Perché altre vorrebbero obbligare me a smettere?

Ps: è una storia (quasi) vera. Grazie a chi me l’ha raccontata. Ogni riferimento a cose, fatti e persone è puramente casuale.

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